Prescrizione del reato per Silvio e Paolo Berlusconi. E’ questa la sentenza della Seconda Corte d’Appello di Milano in merito al caso Unipol. L’accusa era di concorso in rivelazione di segreto d’ufficio, con riferimento all’intercettazione telefonica pubblicata su “Il Giornale” relativa al tentativo di scalata di BNL.
La telefonata – pubblicata ma non depositata agli atti – aveva visto protagonista l’ex segretario dei DS, Piero Fassino, il quale in un colloquio con l’allora presidente di Unipol, Giovanni Consorte, avrebbe detto il famoso “allora abbiamo una banca?”, scatenando una serie di speculazioni politiche.
Nonostante la richiesta degli avvocati difensori di una piena assoluzione nel merito, i giudici hanno ritenuto insufficienti le prove per un tale verdetto. Il procuratore generale aveva richiesto la prescrizione del reato, aggiungendo però che “è un non senso giuridico dire che c’è l’evidenza della conclamata innocenza dei due imputati”. Della stessa opinione l’avvocato di Piero Fassino, Carlo Federico Grosso, che ritiene “impensabile” sostenere che la pubblicazione della intercettazione sia avvenuta “senza l’avallo di Silvio Berlusconi”, ai tempi Presidente del Consiglio.
In primo grado i fratelli Berlusconi erano stati condannati. Un anno di reclusione per Silvio, due anni e tre mesi per Paolo, editore del quotidiano. Inoltre la corte di primo grado aveva stabilito un risarcimento di 80 mila euro nei confronti di Piero Fassino, costituitosi parte civile. Quest’ultima parte della sentenza è stata confermata anche in appello.
Ora è attesa per le motivazioni della sentenza, che saranno rese note entro 30 giorni.
Emanuele Vena