Il costo del lavoro in Italia non cala nonostante la disoccupazione
Nella grande recessione che ha colpito il Sud dell’Europa negli ultimi anni, una delle conseguenze più vistose, oltre al crollo dei be all’impennata della disoccupazione, è stato il calo delle retribuzioni e più in generale del costo del lavoro, così è stato in Grecia, Portogallo, Spagna, ma non in Italia
Prima di parlare della crisi tuttavia vediamo cosa era accaduto in precedenza. L’andamento dell’aumento del costo del lavoro negli ultimi 10 anni ci dice molto anche sulle cause della crisi o perlomeno sul perchè la crisi ha colpito alcuni Paesi in particolare di più e sul come li ha colpiti:
Vediamo come la linea della Germania si stacchi prepotentemente dalla media dal 2003 al 2008, con un calo del costo del lavoro dal 2005 al 2008 che sfiora il 4%. Sono anni in cui la Germania è comunque in crescita, e si tratta quindi di un fatto unico nel Dopoguerra in Europa. E’ il risultato di importanti riforme, il famoso Hartz IV di Schroeder e del suo ministro Clement, che costerà le elezioni alla SPD, che prevedeva tagli ai sussidi e i famosi minijobs, e forse ancora di più delgi accordi sulla contrattazione aziendale e decentralizzata varati a fine anni ’90. L’obiettivo generale era di tenere bassa l’inflazione per essere più competitivi e aumentare il tasso di occupazione.
Al contrario gli altri Paesi europei hanno visto aumenti dei salari più o meno grandi: spicca l’Irlanda in cui i salari aumentano anche del 16% nel 2008, sono gli anni della “tigre celtica”, della bolla irlandese che scoppierà, facend schizzare il deficit al 32% del PIL per il salvataggio delle banche, e farà crollare come si vede del 12% nel 2011 il costo del lavoro. E’ il Paese con variabilità più alta, e in cui la crisi è stata più acuta, anche se meno duratura, e qualcuno afferma, è stata meno duratura proprio per questi aggiustamenti così brutali ma repentini.
Dopo l’Irlanda è la Spagna a segnare aumenti maggiori, spesso del 10%, mentre l’Italia segue l’andamento di Potogallo e Regno Unito, all’incirca, con la differenza che mentre il Portogallo con la crisi nel 2011 e 2012 segue la Spagna in un ridimensionamento del costo del lavoro e un suo calo, come conseguenza anche della grande disoccupazione, in Italia il costo del lavoro continua a crescere, seppur più limitatamente, e degno di nota, la sua crescita non è inferiore a quella della Germania, Paese che stava avendo un aumento dell’occupazione, al contrario dell’Italia.
Vediamo come cambia la situazione negli ultimi due anni, trimestre per trimestre.
Qui l’Italia a primo acchitto sembra un Paese che non ha sofferto molto la crisi, e tantomeno la disoccupazione a vedere l’andamento del suo costo del lavoro, analogo a quello inglese, finalmente di qualche punto inferiore al trend di quello tedesco, visto il raggiungimento quasi della quasi piena occupazione in Germania.
Non solo l’Italia rimane, specie nel 2012 a una velocità di crescita dei salari superiore a quella spagnola, ma si stacca decisamente da Grecia e Portogallo.
La verità è che l’Italia ha avuto un andamento del reddito e dell’occupazione più simile a Grecia e Portogallo che a Inghilterra e Germania, quindi questo grafico certifica la follia italiana: la scelta di mantenere un aumento dei salari della quota calante di occupati a dispetto del calo del reddito. Qui è evidente l’atteggiamento individualista e l’egoismo sociale che attanaglia le maggioranze in Italia, ancorchè maggioranze calanti, come quel 64% di assunti a tempo indeterminato (erano l’88% un 8 anni fa) e quel 55% di occupati (erano il 58% prima della crisi), record negativo in Europa.
La preoccupazione presente in Paesi come USA, Germania, Inghilterra per la diminuzione della disoccupazione ha fatto sì che anche in periodi di crescita (l’Inghilterra cresce a più del 2%) ci sia stata una moderazione salariale atta a favorire nuove assunzioni che in Italia non si riesce a trovare neanche in recessone.
Naturalmente non è solo una questione di mentalità, ma anche di notevoli rigidità legislative e contrattuali, non presenti per esempio nei Paesi anglosassoni, ma si tratta comunque di scelte politiche, e la recente intenzione di Renzi di favorire con sgravi fiscali solo chi un lavoro ancora ce l’ha conferma questo solco.
Peccato che il recente aumento della disoccupazione al 13% stride con il leggero calo che è cominciato in Spagna e i livelli, a metà dei nostri, di cui Germania e Inghilterra invece godono.