L’Huffington Post intervista Paolo Romani, un fedelissimo di Silvio Berlusconi sin dal primo momento (1994). Il sito internet interroga l’ex Ministro dello Sviluppo Economico sul nuovo Senato a firma Renzi.
Il voto è scontato, ma non per il ‘sì’. Al contrario la riforma del Senato non avrà il favore di FI: “assolutamente. Al di là della questione dell’elezione diretta o no dei Senatori, è inaccettabile che, ad esempio, la Lombardia sia rappresentata da due senatori eletti dai consigli regionali e da due senatori eletti dai sindaci. Per un totale di quattro, esattamente come la Valle D’Aosta”, afferma Romani. “Ed è inaccettabile che quello che viene proposto come un Senato di garanzia rispetto alle autonomie sia composto dai medesimi membri delle autonomie”. Praticamente il controllore è il controllato. Improponibile per la forza politica di centro destra.
Romani esalta le modifiche forziste: “gli elettori delle regioni eleggano i loro rappresentanti al Senato nello stesso giorno in cui eleggono i consigli regionali. Rappresentanti che non godrebbero di alcuna indennità. Il che evidentemente non comporta nessun costo aggiuntivo, se non una scheda elettorale in più. Questo consentirebbe di avere un Senato di garanzia”. Praticamente un Senato elettivo, ma “figlio di un sistema monocamerale”.
Le proteste di Forza Italia non si concludono qui. All’ex Ministro dello Sviluppo Economico non piace l’elezione del Presidente della Repubblica: “siamo contrari che il Senato elegga il capo dello Stato. Per come è congegnato il meccanismo fa sì che col 30 per cento riesci ad eleggere un presidente della Repubblica del tuo colore”. Entra, poi, nello specifico: “alla Camera l’Italicum ha il premio di maggioranza, al Senato, per come lo vuole Renzi, entrano sindaci e amministratori che in questo momento sono per la maggior parte del Pd e il gioco è fatto”. E quindi le modifiche di Forza Italia prevedono “un Capo dello Stato eletto dai cittadini e comunque non eletto dal Senato”. Perciò, qualora Renzi si presentasse con un “prendere e lasciare”, il voto forzista sarebbe un ‘no’ netto. Anche perché il patto del Nazareno (quello siglato tra Renzi e Berlusconi nella sede nazionale del Partito Democratico) prevedeva l’approvazione di una nuova legge elettorale e dopo un’ipotetica riforma del Titolo V (subordinata ad un nuovo incontro tra i due) e quindi una nuova architettura istituzionale. Renzi non è stato di parola, secondo Romani, ed ha cercato di approvare prima il Senato che l’Italicum. Un’altra ragione per il ‘no’ di Forza Italia, la cui assenza di voti impedirebbe al rottamatore di approvare la svolta epocale della seconda repubblica.
Daniele Errera