Rifondazione comunista, 11 ex dipendenti fanno causa: “Pagati in nero e discriminati”
Rifondazione comunista o capitalista? La domanda non è così retorica come può sembrare. Proprio domani, infatti, è fissata la prima udienza sul licenziamento di 11 dipendenti del partito, avvenuta dopo la debàcle elettorale dell’aprile 2008, nella quale il partito falce e martello non superò la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. La sconfitta ebbe come prima conseguenza la perdita del contributo pubblico e il partito, senza i soldi garantiti dalla legge sul finanziamento, avviò lo stato di crisi procedendo al licenziamento collettivo.
“I vertici di fede marxista si comportano come amministratori delegati di un’azienda privata, che prima dichiarano lo stato di crisi e poi si liberano degli esuberi” è il duro attacco dell’avvocato Enrico Luberto, difensore dei lavoratori.
Al paragone con una qualunque azienda privata, però, il segretario Paolo Ferrero non ci sta: “Non siamo un’azienda che licenzia tutti e i manager non si tagliano brutalmente lo stipendio come ho fatto io che da 7.000 euro al mese, ora ne guadagno 1.700. E vado a lavorare in Fiat perché il partito non può pagarmi, sono in arretrato di 15 mensilità”.
Sono però anche altri gli elementi che giocano a sfavore dei vertici di Rifondazione. A cominciare dal lavoro sommerso. Stando agli atti, infatti, una dipendente ha lavorato in nero, per ben due anni, proprio nel dipartimento diretto da Ferrero. Il segretario replica imbarazzato: “Chiedetelo a lei, perché è venuta a lavorare in nero in Rifondazione comunista?”. Ci sono anche altre esperienze di lavoro nero per lungo tempo negli uffici e nelle direzioni nazionali, con casi che arrivano fino a tre anni di paga regolarizzazioni.
Ma il tema più scomodo è quello sulle presunte discriminazioni: nel ricorso si legge infatti che, durante la procedura di mobilità, non sono stati rispettati gli anni di servizio, preferendo personale con meno anzianità. Il motivo sarebbe piuttosto imbarazzante: “Tutti i licenziati appartenevano alla minoranza politica che non aveva votato a favore dell’attuale segreteria politica”. Minoranza allora guidata da Nichi Vendola, che poi avrebbe dato vita a Sel.
“Rifondazione – conclude l’avvocato del lavoro – ha cercato di garantirsi margini d’insindacabilità delle proprie scelte per azzerare la voce del dissenso interno. E quando la cosiddetta minoranza è stata messa fuori gioco, Rifondazione ha proceduto a sei nuove assunzioni”.