Rifondazione comunista, 11 ex dipendenti fanno causa: “Pagati in nero e discriminati”

Pubblicato il 2 Aprile 2014 alle 18:50 Autore: Alessandro Genovesi

Rifondazione comunista o capitalista? La domanda non è così retorica come può sembrare. Proprio domani, infatti, è fissata la prima udienza sul licenziamento di 11 dipendenti del partito, avvenuta dopo la debàcle elettorale dell’aprile 2008, nella quale il partito falce e martello non superò la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. La sconfitta ebbe come prima conseguenza la perdita del contributo pubblico e il partito, senza i soldi garantiti dalla legge sul finanziamento, avviò lo stato di crisi procedendo al licenziamento collettivo.

I vertici di fede marxista si comportano come amministratori delegati di un’azienda privata, che prima dichiarano lo stato di crisi e poi si liberano degli esuberi” è il duro attacco dell’avvocato Enrico Luberto, difensore dei lavoratori.

Al paragone con una qualunque azienda privata, però, il segretario Paolo Ferrero non ci sta: “Non siamo un’azienda che licenzia tutti e i manager non si tagliano brutalmente lo stipendio come ho fatto io che da 7.000 euro al mese, ora ne guadagno 1.700. E vado a lavorare in Fiat perché il partito non può pagarmi, sono in arretrato di 15 mensilità”.

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Sono però anche altri gli elementi che giocano a sfavore dei vertici di Rifondazione. A cominciare dal lavoro sommerso. Stando agli atti, infatti, una dipendente ha lavorato in nero, per ben due anni, proprio nel dipartimento diretto da Ferrero. Il segretario replica imbarazzato: “Chiedetelo a lei, perché è venuta a lavorare in nero in Rifondazione comunista?”. Ci sono anche altre esperienze di lavoro nero per lungo tempo negli uffici e nelle direzioni nazionali, con casi che arrivano fino a tre anni di paga regolarizzazioni.

Ma il tema più scomodo è quello sulle presunte discriminazioni: nel ricorso si legge infatti che, durante la procedura di mobilità, non sono stati rispettati gli anni di servizio, preferendo personale con meno anzianità. Il motivo sarebbe piuttosto imbarazzante: “Tutti i licenziati appartenevano alla minoranza politica che non aveva votato a favore dell’attuale segreteria politica”. Minoranza allora guidata da Nichi Vendola, che poi avrebbe dato vita a Sel.

“Rifondazione – conclude l’avvocato del lavoro – ha cercato di garantirsi margini d’insindacabilità delle proprie scelte per azzerare la voce del dissenso interno. E quando la cosiddetta minoranza è stata messa fuori gioco, Rifondazione ha proceduto a sei nuove assunzioni”.

L'autore: Alessandro Genovesi

Classe 1987, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Udine, è da sempre appassionato di politica e di giornalismo. Oltre ad essere redattore di Termometro Politico, collabora con il quotidiano Il Gazzettino Su twitter è @AlexGen87
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