L’ultima settimana in Scandinavia è trascorsa tra annunci, prospettive e cautele: un intreccio fatto di scenari internazionali, gestione della quotidianità economica e risvolti politici. Due i protagonisti: la Norvegia e la Finlandia.
In Norvegia questi sono stati i giorni dell’ex premier laburista Jens Stoltenberg, che venerdì scorso è stato nominato Segretario Generale della Nato: dal prossimo ottobre prenderà il posto del danese Anders Fogh Rasmussen.
Stoltenberg rimarrà alla guida del partito socialdemocratico fino a quando non verrà scelto un nuovo leader e le manovre per individuarlo sono già cominciate.
Le decisioni ufficiali verranno prese nel corso di un congresso straordinario convocato per il 14 giugno, ma a oggi tutto fa pensare che i giochi siano fatti. Helga Pedersen ha dichiarato che resterà a capo del gruppo laburista in Parlamento e Trond Giske ha affermato che non correrà per la leadership: tutte cose che spianano la strada a Jonas Gahr Støre, già indicato da tutti come il favorito. Ex ministro, figura competente e stimata, Støre ha condiviso con Stoltenberg un percorso politico durato anni. Rappresenta la continuità e secondo il quotidiano Aftenposten potrebbe portare nel partito l’agenda verde, restituendo alla tematica ambientale un ruolo da protagonista nella politica socialdemocratica.
In Finlandia invece le questioni economiche si intrecciano con quelle politiche alimentando un vortice di tensioni. La manovra di tagli alla spesa e aumenti fiscali decisa qualche giorno fa dal governo suscita malumori in giro per il paese: gli insegnanti, ad esempio, temono di ritrovarsi classi più numerose come conseguenza dei tagli alla scuola primaria.
Critiche si levano anche dal cuore stesso del governo. La manovra ha già prodotto l’uscita dell’Alleanza di Sinistra dalla maggioranza. Partito socialdemocratico e Lega Verde per ora non minacciano azioni simili ma chiedono lo stesso una revisione dei tagli al welfare.
Sono soprattutto i socialdemocratici a essere finiti in una posizione scomoda: i consensi sono in discesa da mesi, ma uscire dalla maggioranza significherebbe condannare a morte il governo. Sabato scorso il partito ha votato e ha deciso di rimanere al proprio posto ma la domanda è: durerà? Il partito è dato al 15,5 per cento, quarta forza in Finlandia, alle spalle delle opposizioni e dietro al Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen.
L’incognita è rappresentata dalle elezioni europee di maggio, dove i socialdemocratici potrebbero pagare dazio. La prospettiva di un voto dagli esiti incerti è concreta, considerato che la gente è convinta che parte del problema dell’attuale situazione economica sia da attribuire all’euro. Un recente sondaggio ha svelato come il 37 per cento della popolazione creda che la moneta unica stia portando svantaggi all’economia di Helsinki.
E mentre la Finlandia è impegnata a discutere sull’ennesima manovra di austerity, mentre il governo vacilla, mentre la disoccupazione sale (9,1 per cento a febbraio), suona quasi irreale il giudizio di Fitch, che ha confermato la tripla A alla Finlandia. Motivazione: solide politiche economiche. Proprio quelle politiche contestate in Parlamento, per strada e anche da una parte dello stesso governo.