Fa già discutere la nuova legge in materia di sicurezza approvata dal governo turco il 7 gennaio. Il nuovo provvedimento facilita la polizia (EGM), i servizi segreti (MİT), le forze armate (TSK), la Gendarmeria e la Guardia Costiera nello scambio di equipaggiamento militare. Inoltre la polizia e l’intelligence avranno il via libera all’uso di tali dispositivi in caso di pericolo per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico.
La legge si inserisce a pieno titolo nel solco di due fenomeni che stanno interessando la Turchia. Il primo è il montare delle proteste contro il Presidente Erdogan, che proprio in questi giorni ha visto gli studenti dell’Università del Bosforo scendere in piazza per manifestare contro la nomina del nuovo rettore, considerato un suo fedelissimo. Il secondo è il progressivo potenziamento di tre agenzie di sicurezza considerate fedeli al Presidente: la polizia, la polizia ausiliaria e il MİT.
Da quando alcune componenti dell’esercito hanno tentato un colpo di stato il 15 luglio 2016, la lealtà dell’esercito nei confronti di Erdoğan è considerata dubbia. La conseguenza più importante, oltre ai numerosi arresti di militari di ogni grado, è stata un ridimensionamento dei suoi compiti di polizia a favore di corpi ritenuti più leali. Di conseguenza oggi la polizia pattuglia le strade e lavora in contatto con i servizi segreti. La creazione di un corpo di polizia ausiliaria dotato di armi da fuoco nel giugno 2020 e le recenti autorizzazioni in termini di armamenti accordate a polizia e MİT sono quindi l’ultima espressione di questa tendenza.
Voci di critica si sono sollevate dall’opposizione, che teme sia l’ingresso degli 007 nelle questioni di ordine pubblico sia la possibilità che vengano usati mezzi come carri armati e aerei da guerra contro tutte le future proteste, violente o pacifiche che siano. Quasi inutile a dirsi, la nuova legge è stata criticata anche perché è considerata un ulteriore passo nella fidelizazione delle istituzioni portata avanti dal Presidente.