Che la classe politica italiana non fosse la più celere d’Europa, ce ne eravamo accorti da un pezzo. Ed anche per quel che riguarda le semplificazioni amministrative, il ‘Belpaese’ non risulta in cima alle classifiche del vecchio continente. Ora Sergio Rizzo, dalle colonne del Corriere della Sera, analizza la situazione: ogni 10 leggi cancellate ne nascono 12.
Fatti i calcoli, tra 1994 e 2008 sono state abrogate 5.868 leggi, ma al contempo ne sono state approvate 6.655. Praticamente 787 in più. Una sproporzione qualora si sentisse parlare la classe parlamentare. Agevolare, facilitare sono le parole d’ordine. Ed invece la burocrazia si infittisce. Già vent’anni fa Sabino Cassese, giudice della Corte Costituzionale, giurava che le leggi italiane fossero 150.000 circa, al cospetto delle 7.325 dei cugini d’oltralpe e delle 5.587 tedesche. Più forma che contenuto per Alessandro Pajno, professore di diritto amministrativo alla Luiss di Roma: “la riduzione dello stock normativo, che pure era un obiettivo importante, ha mostrato i suoi limiti e ha assunto un valore prevalentemente spettacolare ma non di sostanza riducendosi all’eliminazione di norme che non risultavano in concreto più applicate”. Si pensi a Roberto Calderoli che qualche anno fa diede fuoco, col lanciafiamme, ad una catasta di “leggi inutili”. Tutto inutile, insomma. Del resto è la stessa Corte dei Conti che ha informato il Parlamento del rapporto 10:12. E quindi la Commissione Parlamentare (bicamerale) per la Semplificazione, presieduta dall’ex assessore al bilancio del Comune di Milano, Bruno Tabacci, non può che certificare come solo un terzo delle leggi approvate sotto il Governo Monti e sotto quello Letta sono entrate in vigore. Infatti allo scorso 4 febbraio erano stati varati solamente “462 adempimenti di ben 277 necessari per mettere in moto le leggi”. Addirittura, ricorda Prodi, ci sono alcuni provvedimenti del pacchetto liberalizzazioni Bersani (1997) ancora da attuare. E sono passati 17 anni circa. Un’enormità. Ancora: un anno dopo (1998) viene istituito lo Sportello Unico delle Imprese ed ancora “non è pienamente efficace”, denuncia Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia. Se fosse istituito, sostiene amaramente il dirigente Bankitalia, si potrebbero spendere appena 10 milioni per le pratiche di un intero anno a fronte delle centinaia spese oggi.
A proposito di spese: Federdistribuzione calcola che i costi della burocrazia, si attestano all’1,15% del fatturato del commercio. 1,4 miliardi l’anno. Una somma esagerata. Anche sull’export siamo i fanalini di coda: in Italia, per un’operazione di esportazione, ci vogliono 19 giorni. In Francia e Spagna, invece, 10. I teutonici si attestano sui 9 e gli olandesi, addirittura, impiegano solo 7 giorni. Sono solo alcuni piccoli esempi della burocràzia, pronunciata come fece anni fa Nanni Moretti. Un apparato statale elefantiaco, e quindi strutturalmente lento, che Renzi avrà il compito di modificare radicalmente. Infatti il Presidente del Consiglio, qualora volesse veramente ‘cambiare verso’ non potrà solamente riformare la politica ma anche l’amministrazione.
Daniele Errera