McDonald’s lascia la Crimea, Kiev boicotta il settore alimentare russo
In Crimea e Ucraina la “guerra fredda” tra Russia e Usa si combatte su nuovi fronti: la catena di fast food più famosa del mondo chiude nella penisola passata a Mosca; in Ucraina, invece, è stata vietata l’importazione dei cioccolattini russi, dall’allusivo nome, “l’orsetto” (l’orso è un animale simbolo russo).
Da McDonald’s fanno sapere che gli stabilimenti nella contesa terra di Crimea verranno chiusi per “motivi industriali” non meglio specificati: “a causa di motivi operativi che sfuggono al controllo di McDonald’s, le attività dei ristoranti situati a Sinferopoli, Sebastopoli e Yalta, sono state temporaneamente sospese, speriamo di riprendere il lavoro il più presto possibile”.
Ai propri 500 dipendenti in Crimea, la catena leader del settore statunitense, ha offerto il trasferimento in Ucraina (McDonald’s in Ucraina ha iniziato a sviluppare il business nel 1995. La prima sede era stata aperta nel 1997 a Kiev. Oggi, in Ucraina ci sono 23 città che hanno 79 fast food in tutto): gli è stato garantito il mantenimento delle proprie posizioni, degli stipendi e il trasferimento delle loro famiglie, così come la fornitura di alloggi per tre mesi.
Se il dipendente non sarà d’accordo, gli saranno date altre opzioni di cessazione del rapporto di lavoro con il pagamento di un indennizzo: già in molti stanno cercando un nuovo lavoro sulla Penisola.
Vladimir Zhirinovski, leader ultranazionalista russo, ha lanciato una campagna di boicottaggio dei locali McDonald’s in tutto il paese in risposta alla sospetta iniziativa della multinazionale americana: anche se in Russia la catena di fast food ha diverse centinaia di punti vendita, con un tasso di crescita e rendimenti molto alti (se andasse in porto una simile azione di protesta danneggerebbe molto il business del gruppo modenese Cremonini, leader nella produzione di carne, che ha tra i suoi migliori clienti proprio gli stabilimenti russi di McDonald’s).
Anche in Ucraina sale il fermento anti-russo sul “fronte del cibo”, un settore di mercato per niente secondario rispetto ad altri: tutto è cominciato quando da Mosca è arrivato il divieto all’import del cioccolato marcato Roschen, di proprietà del candidato alla Presidenza della Repubblica ucraina Poroschenko, da Kiev hanno risposto vietando l’importazione di cioccolattini russi (ma anche di aringhe sott’olio e di alcune marche di formaggio) poiché danneggerebbero “la salute degli ucraini”.
A rivendicare la “lista nera” è stato Svoboda, il partito ultranazionalista ucraino, ma già da tempo i consumatori avevano cominciato a non acquistare i prodotti russi – è possibile identificarli col codice 46 – determinando, nelle scorse settimane, la diminuzione del 40% dei guadagni per le aziende russe del settore alimentare che esportano verso Kiev.
Guglielmo Sano