Ad ogni grande riforma costituzionale troverai sempre qualcuno che ti accuserà di voler edificare un “nuovo fascismo”. Se addirittura Berlino Est si mobilitava contro il referendum costituzionale in Francia nel 1958, oggi i vari Rodotà e Zagrebelsky accusano la riforma istituzionale di marca renziana (riforma del Senato, del Titolo V e abolizione del Cnel) di essere autoritaria. Avendo in questo modo una responsabilità doppia. Perché oltre che sulla cattiva fede qui si gioca sull’ignoranza (comprensibile: trattasi di temi complessi) della povera gente che nulla sa di esistenza, funzionamento e composizione di organismi come il Bundesrat tedesco.
Le masse che il monarca renziano vorrebbe depredare della loro sovranità, son le prime ad essere sbeffeggiate dagli appelli dei vari intellettuali “di sinistra”. In questa critica la citazione secondo cui Rodotà sarebbe stato, nel 1985, addirittura favorevole ad un sistema di tipo monocamerale non verrà di certo utilizzata in questa sede.
Gioco diverso, regole diverse, strategie diverse. Quello che appare più interessante dunque è capire su quali basi si poggia questa critica. Perché se da una parte ci sono nuclei dell’intellighenzia culturale nostrana che trovano nel minoritarismo a prescindere (cit. Gad Lerner e il suo endorsment a Cuperlo, per non parlare di quello ad Arturo Parisi durante l’assemblea Pd del 21 febbraio 2009) la loro stessa ragion d’essere, dall’altra c’è un’area politica che in maniera deliberata e voluta preme per il mantenimento dello status quo.
E ci costruisce attorno un ragionamento politico. Personalmente, leggendo l’ENews di Matteo Renzi del 2 gennaio 2014 percepì il rischio: porsi l’obiettivo di una gamma di riforme costituzionali ignorando del tutto il problema della forma di governo (la riforma delle riforme: ancor più importante delle misure di tipo economico ed occupazionali) era quasi un no-sense. In questo quadro si pone l’ottica dei senatori vicini a Vannino Chiti che, riprendendo le perplessità di Pietro Grasso, propongono una propria riforma su Palazzo Madama denunciando la “mancanza di pesi e contrappesi” nelle ipotesi di riforma del Presidente del Consiglio.
Pesi e contrappesi che dipendono, oltre che dal potere giudiziario, anche dal grado di incidenza del potere esecutivo. Oggi come oggi abbastanza debole, ma capace di apparire ad alcuni prevaricatore rispetto ad un Senato destinato a diventare la Camera delle Autonomie. Forza Italia in evidente difficoltà politica ed elettorale ha lanciato una proposta sul premierato. Renzi farebbe bene ad accoglierla perché come in Italia il sistema giudiziario non funziona (a prescindere dai guai giudiziari di Berlusconi) stessa cosa si dovrebbe dire del potere esecutivo. Un Capo del Governo che non ha eguali in Europa (nel non avere competenze) e dei ministri che sono sempre più a capo di una branca dell’amministrazione statale e sempre meno esponenti a loro modo di una visione politica.
Una situazione di tipo giapponese, in cui la burocrazia governa e i politici al massimo badano all’allocazione delle risorse (indovinate qual’è la lingua straniera più studiata in Giappone dopo l’inglese?). Si parta dunque dal presupposto che se in ambito economico è stata la presenza di troppo stato nel mercato a danneggiare i nostri asset fondamentali, in ambito istituzionale è la troppa poca politica ad avere portato alla presente situazione. Fatta di immobilismo, stagnazione e rassegnazione anticipatrice della dinamica grillina.