La BCE comincia a parlare di Quantitative Easing, ma potrebbe non arrivare prima dell’inverno
Come da attese (ma non da speranze) la Banca centrale europea ha deciso nel corso della scorsa settimana di lasciare invariati i tassi di interesse nonostante l’inflazione abbia già deviato (al ribasso) rispetto alle previsioni più pessimistiche della BCE. Il motivo? Una Pasqua “in ritardo”, quindi hotel, trasporti e cibo meno cari per via dell’assenza di un’importante pezzo di domanda rispetto all’anno passato, quando la Pasqua capitò alla fine di marzo.
Per questo motivo Mario Draghi e gli analisti (soprattutto tedeschi) si attendono che l’inflazione di aprile registrerà un’infiammata che riporterà tutto in ordine. Salvo ovviamente nuove sorprese impreviste, per le quali (immaginiamo) si darà la colpa a un’invasione di cavallette.
L’unica novità è che Francoforte ha finalmente parlato di Quantitative Easing: Draghi ha aggiunto che nessuno si oppone a un suo utilizzo, solo che non c’è consenso ad utilizzare l’alleggerimento monetario adesso. È anche uscita una simulazione secondo la quale un QE da mille miliardi potrebbe alzare l’inflazione di uno 0,2-0,8 per cento (ovvero molto poco). Ma tutte queste sono chiacchiere, e lo rimarranno almeno fino a giugno.
L’obiettivo di Draghi è, come sempre, quello di attuare una politica monetaria usando quanto più è possibile le parole, evitando di passare ai fatti (forse perché manca consenso all’interno del consiglio dei governatori?). Il giochino, per ora, ha funzionato almeno sul cambio EURUSD, la cui forza avrebbe rosicchiato un mezzo punto di inflazione rendendo più economiche le importazioni, soprattutto di greggio. L’euro ha mancato, per ora il cambio di decimale e si è riportato nella banda fra 1,33 e 1,38 in cui è rimasto per un lungo periodo di tempo. Resta però il pericolo che riparta, poiché il mercato vorrà ovviamente andare a vedere il bluff di Draghi.
Per tutte queste ragioni si attende una mossa della BCE non prima del meeting di giugno: se hanno ragione gli analisti e l’inflazione ad aprile rialzerà la testa, il QE verrà di nuovo messo nel cassetto in cui stava, per cui bisognerà attendere i dati sull’inflazione di maggio per verificare se siamo di fronte ad un inizio di inversione di tendenza (come tutti, almeno a Francoforte e dintorni, sembrano credere) o se sarà necessario ricominciare a pensare a quel QE per via di nuovi dati deludenti.
Va comunque considerato che questo QE è ancora un esempio di nulla: non si conosce la sua magnitudine, né il modo di operare, né se acquisterà titoli pubblici o titoli privati. Maggiormente probabile il secondo caso, per non far storcere il naso ai tedeschi, ma in quel caso Francoforte preferirà aspettare i risultati dell’Asset Quality Review prima di mettersi a comprare, per cui non si parlerebbe di alleggerimenti monetari prima del prossimo inverno.
A meno che, ovviamente, l’Eurozona non si infilerà nella sua situazione preferita: quella disperata. Allora forse qualcosa si muoverà nella direzione giusta, sempre sperando che non sia già troppo tardi.
Agenda macroeconomica relativamente scarna questa settimana: mercoledì verranno rese note al mercato le minute relative all’ultimo meeting del Comitato di politica monetaria della Federal Reserve. Giovedì verrà pubblicato il dato sulla produzione industriale italiana, attesa in contrazione dei due decimi di punto su base mensile e in rallentamento su base annua, con una crescita dello 0,7 per cento. La Banca centrale europea, poi, pubblicherà il suo bollettino mensile in cui spiegherà più nel dettaglio i motivi delle ultime decisioni in politica monetaria. Negli Stati Uniti le richieste di nuovi sussidi di disoccupazione sono ancora una volta attese intorno alle 320 mila unità.
Venerdì si attende l’inflazione cinese che dovrebbe registrare una decrescita su base mensile e un’accelerazione su base annua: quest’ultimo tasso dovrebbe passare dal 2 al 2,5 per cento. L’inflazione in Germania dovrebbe essere confermata all’uno per cento tendenziale.