Pochi giorni fa l’appello di Zagrebelsky contro le riforme volute da Renzi: “Renzi vuole stravolgere la Costituzione. Firmiamo per fermarlo”. Hanno aderito Rodotà, Grillo, Casaleggio e tanti altri. Adesso l’ex giudice della Corte Costituzionale chiama l’attenzione del Presidente del Consiglio sostenendo una proposta.
Il giurista piemontese pensa di esser stato tagliente “ma quali strumenti vede oltre l’appello? Il problema è che l’unico modo di mettersi in gioco, per Renzi, sembra essere quello di dire sì a Renzi”, afferma in un’intervista a La Stampa. Poi gli si chiede se l’etichetta di ‘professore’, che i giornali gli hanno additato (“l’appello dei professori”), gli garba: “è una parola di scherno. Ci gonfiano per poterci umiliare e cantare vittoria. Sono e mi sento un professore. Il mio habitat è l’Università, a contatto con gli studenti”. Poi Zagrebelsky parla del rapporto con la politica parlamentare: “varie volte mi sono state offerte candidature. Ho sempre rifiutato perché la politica non fa per me. È cosa molto seria, e bisogna averne la vocazione. L’unico potere, per quelli come me e Rodotà, è dire ciò che si pensa. Mentre il dovere di un politico è ascoltare tutti; poi naturalmente tocca a lui decidere”.
Quindi il discorso passa su Renzi. Conosciuto da giovane, secondo il costituzionalista, non dava l’impressione di avere una vena così altamente verticistica: “allora, non avrei immaginato la vena di una certa presunzione che mi pare emerga ora e si manifesta con battute e frasi fatte al posto di argomenti. La presunzione consiste nella chiusura a ogni discussione, un atteggiamento che presuppone il possesso del criterio del bene e del male”. Ecco perché Zagrebelsky auspica al dialogo: “se ci fossero canali aperti al confronto, si farebbe tutti più strada: tutti, come si conviene in materia di Costituzione. Ma questo presupporrebbe una cosa, che manca, come ha detto Massimo Cacciari: la chiarezza d’un disegno generale del quale discutere”.
Stefano Rodotà, co-firmatario dell’appello, dalle colonne de La Repubblica, parla di svolte populiste: “Renzi deve riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, abbandonando la logica che riduce le elezioni a investitura di un governo che risponderà ai cittadini solo cinque anni dopo, alle successive elezioni”. Conclude affondando sul premier: “le semplificazioni autoritarie sono ingannevoli, la concentrazione del potere nelle mani del solo governo, o di una sola persona, produce l’illusione dell’efficienza e il rischio della riduzione della democrazia. Si sta creando una pericolosa congiunzione tra disincanto democratico e pulsioni populiste”.
Daniele Errera