Da un articolo de La Repubblica è emersa la volontà dell’attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino, di istituire un registro comunale delle dichiarazioni anticipate per il trattamento. Un’iniziativa quella del primo cittadino dell’Urbe che urta tuttavia con l’immobilismo del potere centrale.
Se fosse, sarebbe rivoluzionario, altrimenti l’intraprendenza del sindaco di Roma, Ignazio Marino, cozzerà come al solito con l’immobilismo dei poteri centrali. Stante infatti a quanto riportato da un articolo dell’edizione cartacea de La Repubblica di lunedì 7 aprile, sembra che Ignazio Marino, sindaco di Roma dal 12 giugno 2013, eletto tra le file del Partito Democratico, forza politica per la quale ha ricoperto, prima delle sue dimissioni del maggio 2013, anche la carica di senatore della Repubblica negli anni della XV, XVI e XVII legislatura, svolgendo tra l’altro compiti di Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale e di membro permanente della Commissione Igiene e sanità, voglia sottoporre all’Assemblea Capitolina la proposta di istituire un registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Ciò significa che se la proposta fosse accolta, i romani potranno esprimere in materia di testamento biologico la propria volontà, che sarà vincolante, essendo registrata, agli occhi di un terzo, un medico naturalmente. Così infatti dichiara il medico-chirurgo esperto di trapianti del fegato, con un passato anche da Direttore Transplantation Division presso la Thomas Jefferson University di Filadelfia negli USA, per i lettori de La Repubblica:” Come medico e come sindaco sostengo che ognuno abbia il diritto di decidere quale strada imboccare per la propria vita, quindi, anche per la sua fine.” E poi aggiunge;” Sottoporrò all’Assemblea Capitolina la proposta di istituire a Roma un registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento, perché ognuno possa manifestare la libertà di scegliere o rifiutare le terapie anche di fronte alla perdita di coscienza.” Una volontà quella espressa dall’attuale sindaco di Roma che non rappresenta a tal riguardo una novità in senso assoluto: in Italia, infatti, sono già in essere 200 registri di dichiarazioni anticipate di trattamento per altrettanti Municipi, e, a ben vedere, nel 2008 è agli atti un’iniziativa popolare che ha raccolto più di 8mila firma con a capo Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby,( l’uomo scomparso il 20 dicembre 2006 tristemente balzato alle cronache per i suoi appelli affinchè gli fosse praticata l’eutania passiva, ossia l’interruzione dei dispositivi meccanici e delle cure farmacologiche che lo tenevano in vita), che chiedeva all’allora amministrazione Alemanno di legiferare riguardo a questioni di eutanasia e testamento biologico, senza per questo conoscere poi un seguito. Il problema nodale in Italia, l’aspetto poi che più ci distingue in negativo dal resto d’Europa, è la totale assenza di attenzione dei poteri centrali nei riguardi delle questioni di bioetica e testamento biologico, ovvero il riconoscimento del diritto inalienabile della persona di essere ‘padrona‘ di sé anche di fronte alla morte, una negligenza quella dell’attuale governance che necessariamente ha tramutato in un nulla di fatto tanto iniziative popolari come quella della signora Welby,( nonostante poi queste siano previste e riconosciute dalla Costituzione ed obbligano in tal senso il Parlamento a legiferare sulla volontà espressa dal popolo,) quanto quelle dei 200 Municipi, Roma compresa, rendendo per questo i registri nulli da un punto di vista giuridico.
Una negligenza quella dimostrata dal potere centrale dello Stato non a caso sottolineata dallo stesso sindaco in una sua lettera consegnata alla consulta di Bioetica e riportata dall’articolo del giornale di Scalfari:” L’Approvazione in Parlamento di una legge sul testamento biologico è stata chiesta dal 77,3% degli italiani e dagli operatori di sanità costretti oggi a prendere decisioni, sì in scienza e in coscienza, ma solo secondo la propria visione della vita. In attesa che il Parlamento riempia questo vuoto, il Campidoglio farà la sua parte per permettere ai cittadini di depositare le proprie volontà in tutti gli uffici decentrati.” Augurando al sindaco di avere ragione dell’immobilismo, è probabile tuttavia che ogni iniziativa in tal senso resterà giuridicamente nulla, perchè come conferma Francesco D’Ausilio, capogruppo Pd al Consiglio, “Serve una legge nazionale”.