Tetto allo stipendio dei manager, la scure di Renzi sulla Pubblica amministrazione
Tetto allo stipendio dei manager, così Matteo Renzi mantiene gli impegni e rivoluziona la pubblica amministrazione. Non più di “238mila euro all’anno”, ha annunciato il primo ministro in conferenza stampa. “È arrivato il momento di dare il buon esempio. Chi ha preso tanto, anche troppo in questi anni, è giusto che tiri la cinghia – ha detto il premier – È una questione di giustizia sociale”.
Alla vigilia della grande partita delle nomine nelle società partecipate (Eni, Poste, Finmeccanica, Enel, Terna) su cui forse, già domani, l’esecutivo si pronuncerà, si comincia a fare i conti con le promesse di Renzi. L’altro ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il Def, in cui, fra le diverse misure, spicca il tetto allo stipendio dei dirigenti pubblici (non più di 238mila euro all’anno per i quelli di prima fascia). Un provvedimento a cui il premier Renzi tiene fortemente, dal valore “simbolico, politico e culturale oltre che economico”. Una sforbiciata – ha calcolato La Stampa – che vale 65mila euro l’anno per 50 dirigenti.
Escludendo alcune delle partecipate (che essendo quotate in borsa, hanno regole proprie per la designazione degli incarichi dirigenziali) e gli organi costituzionali su cui la scure della spending review renziana non può abbattersi (il presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri guadagna 545.286 euro l’anno), la riduzione dei compensi interessa dirigenti e capi di gabinetto dei ministeri, presidenti e direttori generali della pubblica amministrazione. Tale provvedimento allinea il loro compenso a quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (che all’inizio del suo secondo mandato si è ridotto lo stipendio), passando dai 302mila euro del tetto precedente, legato allo stipendio del primo presidente di Cassazione, ai 238 mila euro del Capo dello Stato.
Stando ai dati del Servizio politiche territoriali Uil, un dirigente su 10 fra quelli di prima fascia (una cinquantina di persone in tutto su 530) subirà una drastica riduzione dello stipendio. Ma per rimpinguare sul serio le casse dello stato e rendere tale intervento efficace il governo sta anche pensando di intervenire su tutti i compensi che superano i 70 mila euro: una fascia consistente, che potrebbe davvero fare la differenza.
Per il momento, molti i nomi noti che dovranno “fare sacrifici”: una dozzina di direttori e segretari generali e i vertici delle authority che potrebbero dover rinunciare a un quinto di stipendio. Il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, il cui ultimo stipendio arrivava a 303.353 euro dovrà rinunciare a 65mila euro. Lo stesso vale per il direttore generale delle Entrate, Attilio Befera, il dg dell’Inps Mauro Nori, il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella e quello dell’Agcom Marcello Cardani tutti a quota 302.900. Per continuare poi col capo della Polizia Alessandro Pansa (301.344), il segretario generale della Farnesina Michele Valensise, che insieme al capo di gabinetto del Viminale, Luciana Lamorgese, ha uno stipendio di 301.320 euro.
La stretta sui manager pubblici permetterà allo stato di risparmiare fra i 350 e 400 milioni di euro. A contribuire saranno anche i nuovi arrivati, tant’è che la voce “compensi” sul sito del governo risulta in aggiornamento. Il nuovo segretario di Palazzo Chigi, Mauro Bonaretti, non sa ancora quanto guadagnerà. Il neo capo gabinetto del Tesoro, Roberto Garofoli, ha rinunciato all’indennità, percependo solo lo stipendio di magistrato del Consiglio di Stato. Ancora senza una stima precisa gli stipendi del vice capo gabinetto Alessandro Tonetti, dei tre capi del legislativo (Simi, Sica e Quadri) e del nuovo capo della segreteria tecnica, Fabrizio Pagani.
Tagli anche a 6 stipendi su 12 al Ministero dell’Agricoltura e al Ministero della Salute, dove i compensi “fuori quota” sono almeno tre. Anche il Ministero della Giustizia dovrà contribuire: a vedersi tagliato lo stipendio i capi dipartimento della Giustizia Minorile, del Dap e Affari giustizia. Una stangata, quella targata Renzi, che di certo provocherà non pochi malumori ma che, stando ai piani dell’ex-rottamatore è solo “l’antipasto”.