L’economia europea ha rallentato nel secondo trimestre dell’anno, mettendo in dubbio la prospettiva che il 2014 sia effettivamente l’anno della svolta. La Germania si è contratta dello 0,2 per cento nel secondo trimestre e la Bundesbank ha fatto capire che il rimbalzo non è da dare per scontato. L’Italia è tornata in recessione. La Francia resta in stagnazione.
Nel Vecchio Continente la disoccupazione rimane alta e l’inflazione bassa. Il rallentamento nel volume del commercio mondiale getta ombre anche sulle prospettive per il terzo trimestre dell’anno, facendo temere che le esitazioni delle ultime settimane non siano solo un incidente di percorso. Dall’altra parte del mondo, la Cina potrebbe non centrare i suoi obiettivi di crescita per il 2014, e gli effetti arriveranno anche nello spicchio europeo del pianeta. Pesano le tensioni con la Russia e i rapporti con Mosca ne risentono. I paesi emergenti hanno rallentato. Le crisi e le guerre sparse in giro per il mondo potrebbero far impennare i prezzi dell’energia. Il timore è la stagnazione.
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Michael Schuman, corrispondente economico del Time da Pechino, ha rintracciato nel malessere europeo gli stessi sintomi che anni fa hanno colpito il Giappone, condannandolo ad una crisi lunga anni. Non una previsione nuova, considerato che già nel 2012 l’economista Nouriel Roubini aveva affermato che l’Europa rischia di ritrovarsi in una situazione molto simile a quella vissuta dal Giappone, se non addirittura peggiore.
Schuman ha messo uno accanto all’altro i numeri della crisi europea e quelli della crisi giapponese. L’economia europea si è contratta in tre anni su cinque dal 2009 al 2013. Il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita tiepida da qui al 2019. Tra il 1992 e il 2002, l’economia di Tokyo è cresciuta oltre il 2 per cento solo in un paio di occasioni e si è contratta per due anni. Il quadro economico si è progressivamente deteriorato, producendo numeri altalenanti e una crescita globale al di sotto degli anni precedenti. Il risultato è stata una diminuzione della domanda interna che è diventata cronica, lasciando il paese fortemente dipendente dalle esportazioni. La deflazione ha contribuito a ostacolare crescita, consumi, investimenti, producendo quello che è stato etichettato come il ‘decennio perduto’ dell’economia giapponese.
Schuman vede gli stessi rischi nell’Europa di oggi: la crescita asfittica spinge i consumatori a tenere i soldi nel portafoglio, le aziende sono prudenti, il denaro non circola. La disoccupazione resta mediamente alta. Lo spettro deflazione viene evocato da più parti e le alterazioni del mercato dovute alla crisi con la Russia potrebbero deformare ancora di più i prezzi. L’Europa potrebbe uscire dall’angolo giocando la carta delle esportazioni, ma il quadro internazionale non lascia ben sperare. Il rischio è una lunga stagione di stagnazione. Proprio come quella vissuta dal Giappone.
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