Giustizia, il nodo delle intercettazioni: non c’è accordo tra Pd e Ncd

Pubblicato il 22 Agosto 2014 alle 18:46 Autore: Redazione

È uno di quei temi di cui periodicamente si ritorna a parlare, salvo poi rimandare a  data da destinarsi una presa di posizione definitiva. Si tratta delle intercettazioni, notoria frattura mediatica che divide il dibattito politico e l’opinione pubblica fra sostenitori e detrattori, gli uni motivati dall’utilità che un tale strumento ricopre ai fini della buona riuscita di un’indagine giudiziaria, gli altri turbati da una degenerazione, lesiva della privacy, a cui l’uso eccessivo di un’intercettazione può portare. Il quadro relativo a questa spinosa e discussa questione non è, chiaramente, così manicheo.

Lo sanno bene molti giornalisti, una delle categorie più “esposte al rischio”, quando si tratta di intercettazioni. Svariate sono state, infatti, le polemiche nate a causa della pubblicazione sulla stampa di telefonate e conversazioni, a cui hanno fatto seguito querele, controversie e vicendevoli accuse. Basti pensare, se guardiamo ai casi più recenti, alla telefonata tra Nichi Vendola e Girolamo Archinà, nonché alla conversazione tra l’ex ministro Anna Maria Cancellieri e Antonino Ligresti.

A rilanciare la questione-intercettazioni è la Repubblica. In un pezzo pubblicato sull’edizione odierna del giornale, Liana Milella rivela che il tentativo del governo, al momento, è quello di predisporre nuove misure sulle intercettazioni tese a “ridurne l’esplosivo effetto mediatico”. Di ciò – è già stato anticipato – non si discuterà nel prossimo Consiglio dei Ministri in programma per il 29 agosto (in cui il ministro della giustizia Andrea Orlando presenterà il suo pacchetto di riforme), ma le intenzioni dell’esecutivo saranno note al più presto.

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“Per ora, l’unico progetto trapelato da via Arenula (sede del ministero della Giustizia, ndr) disegna uno scenario molto preoccupante, sia per i magistrati che per la stampa”, scrive Milella. “Pm e gip, nello scrivere le ordinanze di custodia cautelare, e le altre misure in cui si utilizzano le intercettazioni, non possono utilizzare i testi delle telefonate nella loro versione integrale, ma deveono limitarsi ‘unicamente’ al loro contenuto. La modifica riguarda l’articolo 292 del codice di procedura penale che disciplina il contenuto delle ordinanze.” Secondo Repubblica, uno dei quotidiani generalmente più attenti al tema, “non pubblicare la versione integrale dei testi può rappresentare un grosso problema nella stesura delle ordinanze e indebolire le ragioni che motivano un arresto o una perquisizione o un sequestro”. L’obiettivo, in ultima istanza, sarebbe quello di evitare una pubblicazione delle conversazioni integrale da parte dei media.

A proposito, poi, del parallelismo tra questa riforma e quella voluta da Berlusconi (nei confronti della quale proprio Repubblica fu una delle voci più critiche), Milella afferma che stavolta si andrebbe a intervenire solo su “un aspetto delle intercettazioni, la loro pubblicazione, ma non i poteri dei pm di disporre gli ascolti. Proprio per questo un intervento del genere, che non è affatto condiviso dai magistrati, non piacerebbe né a Forza Italia, né a Ncd, soprattutto perché, come ha confermato Orlando, l’intenzione è di ampliare il potere di intercettare tutti i reati contro la pubblica amministrazione.”

Lo scontro politico consumatosi a riguardo nel corso degli anni è noto, assumendo toni particolarmente durante l’ultimo governo Berlusconi. Pertanto, il Nuovo Centrodestra è pronto a difendere le proprie posizioni, e lo farà potendo vantare tra le sue fila anche la pesante figura del viceministro della giustizia, Enrico Costa.

Nel frattempo, interviene sulla questione anche Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, che apprezza l’apertura del ministro Orlando a discutere con i direttori dei giornali, ma lo invita nel frattempo ad avanzare gradualmente. Alla luce delle difficoltà tecniche e procedurali che un decreto di questo tipo comporta, per Giulietti “occorre procedere con senso della a misura e comunque dando la priorità ai criteri di trasparenza e di prevalenza dell’interesse generale sul ‘Particulare’.Ben venga dunque un confronto, serio ed approfondito, con editori, direttori ed associazioni dei giornalisti – conclude Giulietti –  ma prima di iniziare sarebbe almeno il caso di levare dai tavoli quel brutto testo sulla diffamazione ancora in discussione al Senato e che, dopo le ultime modifiche, assomiglia sempre più ad una legge-bavaglio.”

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