“Penso che si poteva fare di più”. Sono le parole che Michael Foley, fratello di James, il giornalista americano decapitato dallo Stato Islamico, ha pronunciato nel corso di una intervista alla CNN: “I funzionari americani hanno le mani legate anche a causa della rigida politica che intendono seguire” ha spiegato, riferendosi all’intransigenza Usa nel non trattare con i terroristi.
Il tema del pagamento del riscatto per liberare gli ostaggi è un nodo sul quale l’America si interroga da diverso tempo. A fine luglio – numeri alla mano – il New York Times ha accusato i paesi europei di finanziare indirettamente le attività terroristiche attraverso il pagamento dei riscatti chiesti dai rapitori. La politica della Casa Bianca è diversa: con i terroristi non si tratta.
Parlando alla CNN, Foley ha sottolineato però che alcuni rapimenti di cittadini europei si risolvono con la liberazione degli ostaggi.
Il fratello del giornalista afferma di comprendere l’intransigenza americana, il problema è che c’è una mancanza di coerenza a livello globale che va risolta: gli Usa non trattano con i terroristi per il rilascio degli ostaggi, alcune nazioni europee scelgono un approccio diverso. Per il fratello del giornalista ucciso è necessario che l’intero occidente adotti una linea comune, migliorando allo stesso tempo lo scambio di informazioni.
Il dramma della famiglia Foley è cominciato il 22 novembre del 2012 quando James è stato rapito in Siria, non distante dal confine con la Turchia. Una settimana prima che venisse decapitato, la famiglia ha ricevuto una mail con la quale i terroristi dello Stato Islamico annunciavano l’imminente esecuzione del giornalista. La decapitazione è stata ripresa e caricata su internet.
Michael ha detto di aver capito che la situazione rischiava di volgere al peggio quando è cominciata la campagna aerea degli Usa contro l’Is. “Spero che Jim non sia morto invano”, ha detto.