Rientro dalle ferie all’insegna del “problema economia” per Matteo Renzi, per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e i tecnici del Mef. L’autunno caldo del governo è alle porte: entro il 20 ottobre, infatti, il Parlamento dovrà approvare la legge di stabilità presentata dall’esecutivo per il 2015. Il testo, dunque, almeno nelle sue linee fondamentali, dovrà essere pronto entro il primo ottobre, ovvero entro un mese. Tanto resta al premier e ai suoi consulenti per trovare, si stima, almeno altri dodici miliardi di nuovi tagli alla spesa, oltre ai tre già previsti dal decreto con cui è stato disposto, a maggio, il bonus di 80 euro. Coperture fondamentali affinché il Tesoro possa aggioranare i conti contenuti nel Def, il decreto di economia e finanza, dopo la pubblicazione, al ribasso, del valore del Pil da parte dell’Istat, in picchiata a -0,2%. “I soldi ci sono”, fanno sapere da Palazzo Chigi ma ciò che è certo è che il bonus di 80 euro non potrà essere esteso a nuove categorie come pensionati e partite Iva. Del resto, era stato proprio Renzi a mettere le mani avanti confessando di “non poter garantire” l’etensione del provvedimento. Gli aveva fatto eco il sottosegretario Graziano Delrio, giustificando la mancata promessa e parlando di “congiuntura negativa“.
Complessivamente, la manovra dovrebbe aggirarsi intorno ai venti miliardi di euro. I soldi che ancora mancano all’appello – ipotizzano al Mef e a Palazzo Chigi – potrebbero arrivare direttamente dalla spending review. A finanziare il provvedimento economico, anche le maggiori entrate attese dalla lotta all’evasione fiscale. Altri cinque miliardi dovrebbero arrivare dalla centralizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione. Stessa cifra dovrebbe pervenire da altre voci di taglio: introduzione di costi standard nella sanità, drastica diminuzione delle società partecipate e rescissione di contratti d’affitto per palazzi e uffici della Pa. Ipotesi di taglio, accorpamenti e centralizzazioni, che farebbero respirare per un po’ il governo, che eviterebbe così di confezionare l’ennesima “manovra lacrime e sangue”.
CONSIP – Cinque, sei miliardi, dunque, dovebbero arrivare dalla razionalizzazione dei centri di costo, ovvero gli organi addetti all’acquisto di foniture per gli uffici pubblici. Nei conti del commissario Carlo Cottarelli e del presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, le centrali di spesa della Pa dovebbero passare da 30 mila a 200. Una riduzione che, se accompagnata all’adozione di procedure standard per l’assegnazione degli appalti, farebbe risparmiare circa 4,5 miliardi di euro. Somma che, da sola, rappresenta un quarto della spending review prevista per il 2015. Tanto vale, infatti, la differenza fra i contratti firmati ogni anno dalla pubblica amministrazione rispetto ai prezzi di riferimento della Consip, la società del ministero dell’Economia che si occupa proprio degli acquisti per gli uffici pubblici. Per la maggior parte delle forniture la Consip indica parametri di qualità – prezzo che, in teoria, dovrebbero essere rispettati anche dall’ente pubblico che preferisce comprare per conto proprio. In pratica, invece, ci si trova di fronta ad una giungla di appalti e commissioni, in cui le norme vengono aggirate con facilità e gli sprechi si moltiplicano.
UPB – A vigilare sui conti pubblici, da settembre,ci sarà anche l’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Previsto dal Fiscal Compact, il nuovo ente, presieduto da Giuseppe Pisauro, si aggiunge a una già lunga lista di revisori della spesa pubblica, in cui figurano la Corte dei Conti, la Ragioneria di Stato e gli uffici di bilancio di Camera e Senato. Un “controllore dei contollori” che passerà alla lente di ingrandimento conti ed elenchi della spesa pubblica nl nome della “massima trasparenza”. Al vaglio del nuovo ufficio anche la legge di stabilità. La battaglia alla spending review, dunque, si anima di nuovi attori. In attesa che, anche stavolta, Renzi e il suo governo, contrariamente a quanto promesso, non siano costretti a varare un nuovo provvedimento sulle pensioni.
Carmela Adinolfi