Scuola: cambiarla o migliorarla?
Il presidente del Consiglio ha annunciato che stupirà gli italiani con una vera riforma della scuola, dopo gli infelici tentativi di Berlinguer, Moratti e Gelmini. Nell’attesa di scoprire le carte del premier, si susseguono le indiscrezioni: secondo un servizio del TG3 del 24 agosto, cambieranno, radicalmente, le progressioni di carriera dei docenti e sarà tolto un anno alle scuole superiori.
Per il futuro di questo Paese, però, è auspicabile che, il 29 agosto, Renzi proponga un pacchetto completamente diverso da quello di cui parlano, oggi, le fonti di informazione.
È sacrosanto valutare i docenti in base alle loro qualità –e non agli anni di servizio: la valutazione, però, va fatta sulle effettive competenze dimostrate in classe, non sulle attività extra-curriculari e i corsi di formazione cui prendono parte. Un professore di Latino, per essere un bravo docente, non ha bisogno di imparare come si usa un iPad né di adottare nuovi metodi di insegnamento “pop”.
È, poi, senz’altro importante rivedere l’articolazione dei percorsi d’istruzione, perché gli studenti italiani iniziano l’università con un anno di ritardo rispetto ai francesi e ai britannici: il sistema “tripartito” di elementari, medie e superiori dura tredici anni, contro gli undici o dodici di larga parte d’Europa. Accorciare, quindi, di un anno la permanenza sui banchi di scuola non è un’idea sbagliata. Ma quell’anno va tolto correggendo ciò che non funziona –la scuola superiore, invece, è rimasta l’unica parte di qualità del nostro sistema di istruzione.
Il “buco nero” della scuola italiana è, non da ieri, la scuola media. Infatti, il miglior sistema scolastico del mondo –quello finlandese- si articola su soli tre livelli di istruzione: scuola primaria (nove anni) e scuola secondaria (tre anni) e università. Una riforma “rivoluzionaria”, dunque, potrebbe prendere esempio da chi è “più bravo”. Renzi, allora, potrebbe stupirci superando la distinzione tra scuola primaria e scuola secondaria di primo grado per sostituirla, diciamo, con un ginnasio di sette anni cui seguirebbe la scuola superiore che, invece, non andrebbe toccata, se non nella misura necessaria a rimettere ordine ai danni della riforma Gelmini.
Anche molto altro dovrebbe essere fatto: modificare i piani di studio, rendere le scuole luoghi di apprendimento aperti ben oltre l’orario delle lezioni canoniche, aumentare le ore di sport per prevenire, ad esempio, l’aumento dell’obesità nei giovani (banalmente, già qualche millennio fa si diceva “mens sana in corpore sano”) e via dicendo.
La scuola ha un’importanza inestimabile nella costruzione del futuro di una nazione. Dalle aule sgangherate di edifici spesso fatiscenti escono i cittadini di domani: l’obiettivo primario di una buona riforma è fare in modo che in quegli anni (tredici, o dodici) passati sui banchi si formino spirito critico e coscienza civile di tutti i ragazzi, di quelli che, un giorno, finiranno in parlamento e di quelli che andranno in fabbrica o in un call center. Siamo sicuri che, tagliando un anno di scuola superiore –magari col fine, ben più materiale, di far cassa- si vada davvero incontro a questo obiettivo?
Andrea Enrici