Caso Amazon: interviene il Ministro Franceschini

dario franceschini

“Dobbiamo fare una battaglia contro il monopolio del libro digitale, ma non può essere una battaglia italiana. Il livello minimo è europeo”.

Inizia così una bella intervista di Stefania Parmeggiani al Ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini, sulle pagine di La Repubblica di oggi a proposito del “caso Amazon”, scoppiato – o, per meglio dire, riapertosi – negli Stati Uniti nelle scorse settimane, rimbalzato in Germania ed ora prossimo a superare il confine e tracimare nel nostro Paese.

Oggetto del contendere sono le presunte – tali vanno considerate fino a quando un’Autorità antitrust non le qualificherà diversamente – condotte anticoncorrenziali e discriminatorie che la più grande libreria online al mondo, sembra riservare ad alcuni editori rei di non piegarsi alle proprie logiche commerciali.

Va detto – per onestà intellettuale – che il Ministro Franceschini nell’intervista da prova di un equilibrio e di una consapevolezza circa i termini del problema di cui si discute che, in passato – nella recente vicenda relativa all’equo compenso per copia privata – erano mancati.

Impossibile non trovarsi d’accordo con il Ministro quando sottolinea come il libro – e più in generale la cultura – non siano prodotti come gli altri e come, pertanto, la loro circolazione non possa restare affidata alle sole logiche di mercato, specie se – viene da aggiungere – il mercato di riferimento è, purtroppo, ormai caratterizzato da una scarsa concorrenza e dominato da oligopoli giovani ma ben radicati.

Egualmente condivisibile è la convinzione del Ministro quando identifica nell’Europa, il “regolatore” che, eventualmente, dovrebbe intervenire, resistendo alla facile tentazione di annunciare crociare normative nazionali che, in una vicenda come questa, risulterebbero davvero vane e controproducenti.

Meno condivisibile è, forse, l’approccio – che, tuttavia, non è solo del Ministro Franceschini ma ben più diffuso – al problema in termini di Stato contro “i padroni della Rete”, per usare le parole del Ministro o di battaglia “contro il monopolio del libro digitale”.

E qualche riflessione in più, forse, meriterebbe anche la diffusa convinzione che la risposta a fenomeni come quello che viene in rilievo nel caso Amazon, sia sempre e comunque da ricercare in nuovi interventi regolamentari “speciali” che siano europei o nazionali.

Sul punto è bene esser chiari per evitare che si diffonda il convincimento che la Rete sia ancora un Far West e che i Governi del mondo intero siano, davvero, impotenti rispetto allo strapotere di quelli che Franceschini chiama i “padroni della Rete”.

Le regole per governare vicende come i presunti abusi di posizione dominante posti in essere da Amazon nei confronti di alcuni editori, nella più parte dei casi, ci sono e basterebbe – o basterà come avverrà nel procedimento che gli editori tedeschi hanno già promosso davanti all’Autorità Antitrust – applicarle.

Se, effettivamente, Amazon utilizza politiche discriminatorie o, peggio ancora, ritorsive, nei confronti di taluni editori, abusando della sua incontestabile posizione dominante, non mancano, negli ordinamenti nazionali ed in quello Europeo, vaccini e contromisure per richiamare, specie i “giganti di mercato”, all’ordine ed al rispetto delle regole.

Lo dimostra, in modo plastico, il procedimento appena promosso dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana nei confronti di Booking.com ed Expedia – giganti dell’intermediazione turistica – per verificare se costituisca o meno un abuso della propria posizione dominante, la clausola del “miglior prezzo” attraverso la quale i due intermediari, impongono, con sfumature diverse, agli albergatori di garantire agli utenti delle due piattaforme, sempre e comunque il miglior prezzo disponibile per ogni prenotazione.

Le regole, quindi ci sono e – fino a quando il problema è di mercato – basta applicarle.

Il “caso Amazon”, solleva però alcune questioni diverse che non possono e non devono essere affrontate in termini di contrapposizione degli Stati ai “padroni della Rete” di cui parla Franceschini né attraverso nuove “regole d’emergenza”.

La prima è rappresentata dall’esigenza di costruire politiche culturali e dell’innovazione lungimiranti e moderne in modo da evitare che i Paesi del vecchio continente come quelli del resto del mondo non siano condannati, nei decenni che verranno, a rappresentare “colonie digitali” altrui.

Sul punto occorre essere intellettualmente onesti: Amazon, Google, Facebook, Booking.com e tutti gli altri attuali “padroni della Rete” – sempre per usare le parole di Franceschini – al netto di possibili abusi ed eccessi non diversi da quelli che hanno caratterizzato l’ascesa di ogni colosso industriale nella storia del mondo, sono arrivati dove sono arrivati, semplicemente, grazie ad uno Stato che ha loro garantito ciò che noi non siamo riusciti a garantire alle nostre imprese ed approfittando, per primi, delle occasioni aperte dalle nuove tecnologie mentre altri guardavano a Internet ed al digitale con diffidenza e sospetto, preoccupati di garantirsi, il più a lungo possibile, le proprie rendite di posizione.

Bisogna, quindi, imparare a leggere la storia moderna, farne tesoro e reagire, resistendo alla tentazione di scagliarsi “contro” e provando, invece, a ragionare in una logica propositiva e procompetitiva, scommettendo sul fatto che i “padroni della Rete” – magari buoni ed eticamente corretti – tra cinque anni, possano battere bandiera europea.

Abbiamo un patrimonio culturale, creativo ed inventivo secondo a pochi nel mondo.

La seconda è che è arrivato il momento di “aggiornare” la lista dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, ponendovi in cima un principio ormai divenuto irrinunciabile: ciascuno deve vedersi garantito dallo Stato la libertà di accedere a qualsiasi contenuto – dal libro al giornale, passando per la musica, le foto e l’audiovisivo – a condizioni “neutrali” e non discriminatorie.

Che si tratti dei “padroni della Rete” ai quali fa riferimento il Ministro Franceschini, dei “padroni delle reti” [ndr di telecomunicazione] o di chiunque altro – Stato incluso – nessuno deve poter, per legge o contro la legge, poter orientare, influenzare o, peggio, decidere a quali contenuti ogni utente della comunità globale interconnessa può accedere o, semplicemente, può accedere più facilmente o a condizioni più vantaggiose.

E’ un obiettivo che va posto al centro dell’internet bill of rights europeo che – e bisogna andarne orgogliosi – proprio nel nostro Paese sta muovendo i primi passi.

Ha ragione Franceschini quando dice che la cultura non è una merce come le altre e non lo è neppure l’informazione come non lo è qualsivoglia altro contenuto che “trasporti” pensieri ed opinioni di chicchessia.

Vicende come il “caso Amazon”, sono democraticamente preziose perché – a prescindere dal loro epilogo di mercato – “suonano sveglie” che bisogna stare attenti a non ignorare.