È stato un agosto interessante e abbastanza volatile per i mercati, complici i molti eventi che si sono susseguiti quest’estate e che non si sono ancora esauriti. Cercheremo qui di riassumerli brevemente, in modo da cominciare l’anno lavorativo nel migliore dei modi.
Unione Europea: continua il deterioramento dell’economia dell’area euro, dove oltre alla disoccupazione e alla deflazione che ormai sono quasi realtà in quasi tutti i Paesi che non siano la Germania, si aggiungono anche i timori di recessione (in Italia tutti questi problemi sono già abbondante realtà). Bisognerà vedere se quanto auspicato da Draghi a Jackson Hole si concretizzerà: Draghi proverà a mettere il denaro (lato domanda), ma le riforme strutturali (lato offerta) sono compito dei governi, che però continuano a muoversi in ordine sparso e spesso contrario. Gli ingranaggi europei devono cominciare a lavorare all’unisono, ma a quanto pare Angela Merkel non sembra pronta a questo passo, anche perché dall’altra parte non sembra trovare interlocutori affidabili. Sarà un lungo inverno.
Ucraina e Russia: la situazione ai confini dell’Europa Unita non sembra destinata a risolversi presto, ed entrambe le parti hanno esasperato i toni. Dopo l’accusa (ritrattata) di invasione russa da parte dell’Ucraina che aveva scatenato un piccolo panico sui mercati, Putin ha usato parole (volutamente?) ambigue per indirizzare i negoziati sulla situazione nella cosiddetta Nuova Russia. Lo zar vuole un nuovo Stato o una nuova forma di governo? Le parole usate lasciano aperte entrambe le interpretazioni. L’UE, intanto, mettendo in campo un falco (Tusk) e una colomba (Mogherini), proverà ad usare bastone (sanzioni) e carota con la Russia, che già sta soffrendo rischi di recessione: nell’ultima settimana il rublo si è deprezzato fin a raggiungere i livelli della crisi crimeana. Il Cremlino potrebbe non potersi permettere una depressione.
Stati Uniti: il mercato del lavoro sta migliorando, ma non (ancora) abbastanza. Il presidente della Federal Reserve Janet Yellen ha usato toni meno da colomba del solito durante il simposio di Jackson Hole. Yellen non ha potuto non prendere atto dei segnali positivi che provengono dal mercato del lavoro (sono stati recuperati tutti i posti di lavoro persi dal picco pre-Grande Recessione), ma c’è comunque il rischio di staccare la spina del doping finanziario troppo presto, vanificando il recupero degli ultimi anni, recupero peraltro parziale (molti posti di lavoro creati sono part-time non desiderati). Va comunque rilevato che non ancora si vedono segnali di surriscaldamento dell’economia a causa di una spirale prezzi-salari, e che quindi per ora l’inizio dell’uscita dalla politica dei tassi zero-o-quasi resta fissata nel primo semestre 2015.
Vicino Oriente: placata (come sempre temporaneamente) la guerra fra Hamas e Israele, resta la questione “Grande Siria”. C’è una guerra civile in corso in Siria, c’è il rischio che qualcosa di simile accada in Iraq (specie grazie alle pressioni contrapposte di altri Paesi arabi) e nel mezzo c’è un gruppo, lo Stato Islamico, che si è dimostrato estremamente tenace, combattivo e pieno di risorse. Manca ancora una strategia per affrontarne la minaccia, ma va ricordato che dietro le quinte altri Paesi (Arabia Saudita e Iran in primis) premono per la supremazia nella Regione, e che quindi una soluzione (che può essere solo lo smantellamento del gruppo muovendosi via terra) potrebbe non essere facile da trovare. Sorge infine un sospetto, forse un po’ fantasioso, ma paurosamente affascinante: non è che si stanno gettando le basi per qualcosa di simile alle Guerre di Religione fra cattolici e protestanti, avvenute secoli or sono? La differenza, oltre alla contrapposizione fra Sciiti e Sunniti, è che la Regione è uno snodo petrolifero chiave, e l’Occidente potrebbe non riuscire a rimanere indifferente allo shock che potrebbe derivarne.
Giappone: il primo ministro Shinzo Abe scaglierà la terza freccia (le solite riforme strutturali) della sua Abenomics o deciderà di rimangiarsi altri provvedimenti, come l’aumento dell’imposta sulle vendite che ha causato forti scossoni sul PIL (e forse l’entrata in recessione)? L’inflazione “buona” (quella generata dalla crescita dei salari) riuscirà a rubare il posto a quella “cattiva” attuale (generata dal costo dell’energia importata)? Il Giappone, va ricordato, cammina su un filo, anche se, più che per problemi strettamente economici, la colpa è della demografia: il Giappone è un Paese vecchio e chiuso all’immigrazione, e il drammatico rallentamento ultradecennale della sua macchina è probabilmente dovuto alla mancanza di energie fresche che possano prendersi in groppa un’economia comunque molto grande e delicata.
Cina: proseguirà l’atterraggio morbido di Pechino? Il governo ha bisogno di tenere forte la crescita per mantenere la propria popolazione soddisfatta e soprattutto sotto controllo, ma alcuni allarmi, specie sul mercato immobiliare, fanno rilevare alcune difficoltà. Potrebbe derivarne un’ulteriore stretta alle libertà dei cinesi, come stanno già sperimentando i cittadini di Hong Kong.
India: il nuovo primo ministro Narendra Modi dovrà dimostrare di poter mantenere le promesse elettorali, ovvero crescita, lavoro e infrastrutture. Non c’è in gioco solo la rielezione, ma soprattutto il futuro dell’India: New Delhi ha bisogno di portare sul proprio territorio non (solo) capitali finanziari, che possono fuggire in uno schiocco di dita, come visto negli ultimi anni, ma soprattutto investimenti infrastrutturali che permettano all’India di diventare una potenza “emersa”. Un dato per tutti: un terzo della popolazione indiana (400 milioni di persone) non ha un accesso sicuro e regolare all’elettricità.
Brasile: la morte di uno degli sfidanti al posto di Dilma Rousseff ha scompigliato le carte delle prossime residenziali, facendo emergere un terzo candidato incomodo che, stando ai sondaggi, potrebbe arrivare intercettare il voto dei delusi, giungere al secondo turno e forse vincere. Rousseff, infatti, non sta passando un ottimo periodo: il colpo più forte al presidente in carica lo ha dato la recessione. Nonostante i Mondiali (e relativi stimoli governativi), l’economia brasiliana è declinata per due trimestri consecutivi (nonché in tre degli ultimi quattro), relegando l’era di crescita del Presidente Lula a un pallido ricordo. Il primo turno delle elezioni è previsto il prossimo 5 ottobre.
Agenda macroeconomica. La settimana si apre orfana di Wall Street per la festività del Labor Day: non mancheranno tuttavia dati provenienti dall’Europa, con il PIL tedesco (atteso in contrazione trimestrale) e soprattutto i PMI manifatturieri, che dovrebbero confermare il rallentamento dell’economia del Vecchio Continente nei prossimi mesi. La Francia, tuttavia, sarà l’unico Paese atteso in contrazione. Dato analogo verrà rilasciato per gli Stati Uniti martedì, ed è atteso sostanzialmente stabile.
Discorso quasi identico per la giornata di mercoledì, con i PMI servizi che dovrebbero evidenziare la stessa tendenza (anche se la Francia dovrebbe confermarsi sopra i 50 punti e quindi in espansione).
Giovedì sarà giornata di tassi di interesse per Regno Unito e, soprattutto, Unione Europea: si aspettano nuovi suggerimenti sul da farsi da parte di Mario Draghi e forse un ulteriore restringimento del canale dei tassi d’interessi, dalla parte di quello di rifinanziamento marginale. I jobless claims USA sono attesi intorno a quota 300mila, dove stazionano ormai da diverse settimane.
Venerdì sarà giornata di report sul mercato del lavoro USA, come ogni primo venerdì del mese: srà interessante verificare se il lento miglioramento del mercato continuerà: bisognerà tenere d’occhio non tanto il tasso di disoccupazione, bensì le nuove buste paga non agricole e, in particolare, il tasso di occupazione.