“Ognuno ha l’infinito che si merita”.
Questa frase, che sembra pronunciata dalla Rossella O’Hara di turno in qualche polpettone libro-cinematografico ma che in realtà è di estrazione gaberiana (e quindi meritevole di aprire questa recensione), è una delle prime frasi scritte da Gabriele Maestri (caporedattore di Termometro Politico e assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato all’università di Roma Tre) nella sua ultima fatica letteraria: Per un pugno di simboli – Storie e mattane di una democrazia andata a male (Aracne, 368 pp., 22 euro).
Una frase che però non si limita ad aprire il libro. Ma ne esemplifica al tempo stesso lo spirito in maniera quanto mai efficace.
L’autore infatti inizia questo suo studio sui simboli dei partiti e sulle principali famiglie politiche nazionali attraverso una dovuta nota biografica: quando nel 1987 si piazzò davanti allo schermo del televisore per assistere ai risultati delle elezioni politiche dello stesso anno.
Un turno elettorale importante: la Lega Lombarda (uno dei due nuclei centrali della futura Lega Nord) eleggeva i suoi due primi parlamentari (Leoni alla Camera e Bossi al Senato), la Dc scricchiolava, il Psi otteneva il suo massimo storico e l’esperienza del Pci nattiano dimostrava di aver esaurito in pochi mesi la spinta propulsiva legata al sorpasso “europeo” dell’84 sui democristiani. Ma furono elezioni molto importanti anche perché Maestri allora aveva solo 4 anni e la sua iniziazione politica cominciava sulle ceneri della “Prima Repubblica”.
Maestri cura da anni un apprezzato blog in ambiente politico chiamato I simboli della discordia”. In questo blog analizza le principali caratteristiche dei simboli dei partiti e le controversie, perlopiù di tipo legale, che colpiscono questo versante della politica. Per un pugno di simboli riprende gli studi pubblicati sul blog e ne fa una summa in grado di rendere la lettura interessante a tutti.
Il libro inizia con un’interessante prefazione di Filippo Ceccarelli, editorialista della Repubblica che dal 2005 analizza in maniera puntuale proprio questo genere di cose: il lato pop della politica, quello dissacrante, grottesco ma al tempo stesso in grado di renderla un’esperienza unica nel suo genere. E senz’altro possiamo dire che la prefazione di Ceccarelli è la cosa più adatta per un libro come questo che unisce l’arguzia di tipo giornalistico (alla Ceccarelli, dunque) a quella dello studioso che sa citare a memoria sentenze della Cassazione, gli sbalzi d’umore del segretario Dc Angelo Sandri (Cervignano, vicino Trieste, è nota per questo) e l’esperienza di Luigi Scotti non solo come giurista ma anche come dimenticato Guardasigilli del secondo governo Prodi.
Ogni capitolo copre una famiglia politica: il simbolo della Falce e Martello (disegnato da Guttuso) che cambia pelle per presunti eredi così capaci di cascare nel ridicolo da privarsene pur mantenendo l’approccio massimalista tipico di certa sinistra. La Fiamma Tricolore, il cui abbandono segna un passaggio d’epoca e complesse dispute legali sui suoi rimasugli. Il Garofano che per chi come me aveva 16 durante il congresso del Nuovo Psi del 2005 rimarrà sempre una croce e delizia per la nostra formazione politica. Per poi passare alla Croce (giusto ricordare che lo scudo crociato della Dc non è un simbolo “religioso” ma “medievale”) ecc…
Seguono capitoli sulla bandiera italiana nei simboli dei partiti, sulle altre piante e sugli animali.
E forse è proprio questo capitolo (insieme all’emblematico finale “Eroi e Martiri Simbolici”) che più rispecchia lo spirito del tutto. Perché Per un pugno di simboli non è solo la vicenda di parte della storia italiana. Ma anche la storia di un certo modo di concepire la politica.
L’ex presidente del consiglio dei ministri, Adone Zoli, amava dire, in merito alla sua riservatezza, “di diffidare fortemente da chi intende passare alla storia: son persone che solitamente portano a molti danni”. Ecco, ma questo libro parla a suo modo della storia. E di gente che forse nemmeno sapendolo si è condannata a far parte della schiera degli idoli e dei miti di un’intera generazione di “drogati della politica”.
Maestri conosce bene questo tipo di persone, questa particolare realtà: la realtà di file interminabili davanti al Viminale per presentare simboli che non correranno mai alle elezioni. Simboli che non avrebbero nemmeno potenziali candidati da proporre, emblemi che non dispongono nemmeno delle firme per accedere all’arena elettorale vera e propria.
Per un pugno di simboli ha il merito di mettere a sistema, in maniera accademica, tutta questa realtà. Questa concezione della politica forse un po’ assurda e cialtrona. Ma al tempo stesso capace di farci dire “ecco, sotto sotto soprattutto questa è la politica” e la passione collegata ad essa.
Spiriti che, con la fine delle ideologie, sarebbero destinati a scomparire come “lacrime nella pioggia”. Ma che prendono forze per camminare.