Nessun segnale incoraggiante per la ripresa del lavoro. E’ questo il quadro presentato dall’Ocse questa mattina a Parigi. Nonostante il lieve calo del tasso di disoccupazione, lo stato occupazionale rimane lontano dal 2008, prima che la crisi scaricasse i suoi effetti anche sull’economia reale.
In questo contesto, l’Italia è uno dei Paesi che soffre di più: la disoccupazione continuerà a salire per tutto il 2014, arrivando al 12,9% (contro il 12,6% del 2013). Solo nel 2015 si avrà un live calo al 12,2%. A pagare il prezzo più alto sono i giovani: il 52,5% dei lavoratori sotto i 25 anni ha un contratto di lavoro precario. Il dato è in calo rispetto al 2012, quando era al 52,9%, ma è quasi doppio rispetto al 2000 (26,2%).
Le proiezioni Ocse stimano un calo della disoccupazione fino al 7,1% nell’ultimo trimestre del 2015. I risultati migliori saranno quelli di Spagna (-2,2%), Irlanda (-2,1%) Repubblica Ceca e Stati Uniti (-1.1%). La situazione rimarrà critica per Italia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Entro la fine del 2015 Austria, Germania, Islanda, Giappone, Corea, Messico, Norvegia e Svizzera scenderanno sotto la soglia del 5%.
Secondo il rapporto i pochi indicatori positivi non saranno sufficienti a far ripartire il mercato del lavoro. Stando all’analisi dell’organizzazione, gran parte un buona parte dei disoccupati ha perso le motivazioni, portando ad impoverimento del capitale umano. Oltre 16 milioni di persone nell’area Ocse sono senza un lavoro da almeno un anno, l’85% in più rispetto al 2007. Secondo l’organizzazione la necessità per i governi è “dare la priorità alle misure per l’occupazione e la formazione di disoccupati di lunga durata”.
Secondo l’Ocse è necessario promuovere le riforme per “la competitività, la crescita e la creazione di nuovi posti”. E’ necessario migliorare la qualità, partendo dal livello e dalla distribuzione degli utili, passando per sicurezza e qualità dell’ambiente. Secondo il rapporto le categorie più svantaggiate sono i giovani, i precari e i lavoratori meno qualificati. Il 70% dei lavoratori vive una “sfasatura” tra occupazione e percorso formativo, ovvero possiede qualifiche troppo elevate o troppo basse per il lavoro che svolge oppure si trova a svolgere una non attinente al proprio percorso accademico.
L’organizzazione spiega che anche l’eccessivo affidamento al lavoro temporaneo è dannoso per le persone e l’economia, poiché secondo l’Ocse “i lavoratori con questi contratti si trovano spesso ad affrontare un grado di precarietà più elevato e le imprese tendono a investire meno nei lavoratori assunti senza un contratto fisso,” creando un m meccanismo che rischia di “deprimere la produttività e lo sviluppo del capitale umano”. Sono necessarie politiche in grado di regolare in modo più incisivo il mercato dei contratti, per arrivare a una riduzione del divario tra garantiti e non garantiti, ad esempio le false partite Iva.
L’Italia è il quarto paese dell’area Ocse per numero di lavoratori che sulla carta sono liberi professionisti, ma che di fatto svolgono un lavoro subordinato, che costituiscono il 3,2% circa dei lavoratori dipendenti nell’industria e nei servizi, una percentuale superata di poco solo da Repubblica Ceca, Slovacchia e Grecia.
Ilaria Porrone