Ci sono abitudini giornalistiche che restano anche nell’”aldilà” dell’effettiva presenza politica. Capita ancora oggi, infatti, di leggere agenzie o (in minor numero) articoli che citano i “bersaniani” o i “cuperliani”, applicando etichette che in realtà hanno superato la loro data di scadenza.
Ma nella pseudo-corsa renziana resta difficile anche individuare, in modo facilmente riconoscibile, cioè che renziano non lo è, o almeno che non lo è diventato completamente. Ci si trova davanti a dei canovacci tipici della commedia italiana del ‘600, rispettati per lo più fedelmente a qualsiasi livello (locale, regionale o nazionale).
In assenza di notizie politiche di un “certo rilievo”, come accade in estate, capita di ritrovare sulle pagine qualche desaparecido non renziano, riesumato – solitamente – con una pseudo-intervista composta da 4-5 domande (abbastanza accordate) in cui gli argomenti toccati sono molteplici, ma tutti accomunati dall’essere in totale disaccordo con l’esponente renziano/il sindaco renziano/il governatore renziano/Renzi di turno.
Un modus operandi che come passaggio successivo annovera la risposta di un membro dello “schieramento avverso” (quello renziano) e che come punto finale vede la replica dell’esponente ‘preso di mira’ nella prima intervista, che in modo bonario chiosa ricordando il 40% dei voti delle europee, il voto delle ultime amministrative, la “rivoluzione contro gli apparati” ed altre ovvietà riconducibili a quel canovaccio. In realtà il ricondurre quell’area sempre e solo all’ex segretario evidenzia tutti i limiti degli esponenti che hanno tentato di mettere la propria bandierina: da Pippo “la prossima volta che mi trattate male giuro che me ne vado” Civati a Matteo “alla fine una poltrona l’ho trovata” Orfini, passando per le meteore Gianni Cuperlo e Stefano Fassina.
Il problema, però, è che la situazione al momento sembra destinata ad arrivare al cortocircuito, e non per “colpa” dei bersaniani (o di come vogliamo identificare quel che resta dei non-renziani), ma perché il celebre carro dei sostenitori del Presidente del Consiglio, dopo l’ascesa dello scorso febbraio, registra alcuni problemi di tenuta per il troppo carico a bordo.
A tentare di spezzare il semiasse del carro potrebbe contribuire il prossimo turno di elezioni regionali. Il voto in Emilia Romagna, ad esempio, prospetta un derby tra due fedelissimi del premier – Stefano Bonaccini e Matteo Richetti – che hanno iniziato esattamente come ogni sfida dialettica del pre-renzismo: rinnovamento contro apparato. Questa volta però lo sconfinamento nell’assurdo appare immediato, visto che entrambi mostrano da mesi la spilletta di rottamatori.
Parlando seriamente, il momento elettorale della primavera 2015 – con l’antipasto delle non semplici consultazioni in Calabria – porterà alla verifica della tenuta dell’establishment renziano, che per ora è rimasto unito perché c’è stato sempre da “combattere”: prima contro Cuperlo, poi contro Letta e da qualche tempo contro Grillo. La presenza di un nemico comune cementifica una “truppa” – quella renziana che pare come unico collante la totale fedeltà psichica al “capo”, e non una struttura realmente organizzata. Una tipologia di armata che è ottima per la fase di battaglia – perché i fedeli arrivano a morire (politicamente) per il proprio capo – ma che spesso diventa indisciplinata in fase di controllo delle posizioni conquistate.