In questi giorni di fuoco si stenta a comprendere quale sia il problema numero uno sullo scenario internazionale: se la crisi ucraina – che ha fatto riaffacciare lo spettro di quel bipolarismo che pensavamo di esserci lasciati alle spalle con la caduta del muro di Berlino – o quella mediorientale, che, dall’altra parte, ci fa respirare nuovamente quel clima teso e l’allerta anti-terrorismo forse mai abbandonata del tutto dopo l’11 settembre. Ma, di certo, una delle due minacce, quella sul fronte Kiev , si trova alle porte dell’Europa e ci trova per tale ragione più direttamente coinvolti e speranzosi in una soluzione diplomatica che riavvicini un (ex) partner come la Russia.
Alla vigilia dell’appena terminato vertice Nato a Newport, in Galles, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si era espresso per l’Italia e per tutti i suoi alleati, auspicando una collaborazione forte e un impegno valido al fine di risolvere una delle controversie più urgenti degli ultimi anni: “Siamo certi che la posizione italiana, favorevole ad una ferma linea di principio dinanzi ai comportamenti russi e nello stesso tempo decisamente tesa a percorrere la via del dialogo per superare la attuale tensione nei rapporti con la Russia, sarà largamente condivisa dai nostri partner europei e da tutti i nostri alleati della Nato”.
In effetti, questa grande sfida per l’Alleanza Atlantica ha visto i vari leader europei e americani concordi sull’urgenza di trovare una soluzione che possa portare presto a una de-escalation del conflitto che da mesi imperversa nell’Ucraina dell’est e che vede il governo di Kiev scontrarsi con i separatisti filorussi spalleggiati dal Kremlino.
In questa nuova guerra fredda con l’Europa, Putin è il bersaglio delle più aspre critiche da parte dei capi di Stato europei e naturalmente di Barack Obama, il quale non ha abbandonato lo scetticismo sul contenimento russo nemmeno al termine del summit atlantico, conclusosi con un annunciato cessate il fuoco da parte del presidente ucraino Petro Poroshenko e del leader delle milizie separatiste.
L’accordo, raggiunto a Minsk, prevede il rilascio di alcuni prigionieri da entrambe le parti, il ritiro delle truppe e l’invio di aiuti umanitari nella regione “calda”. Sicuramente il segnale giusto che si attendeva durante tutto il vertice e anche a Bruxelles, dove comunque i leader europei hanno messo a punto un nuovo piano di sanzioni destinate alla Russia di Putin, misure che la cancelliera tedesca Angela Merkel ritiene “potrebbero comunque entrare in vigore, e poi essere sospese se davvero questo processo di pace avrà luogo” . In sostanza, una linea tendenzialmente dura nei confronti del capo del Kremlino viene temperata da un dialogo diplomatico che rimane aperto.
D’altronde l’Europa da un lato aveva bisogno di rispondere con forza a quelle che ritiene essere inaccettabili violazioni del diritto internazionale, mentre dall’altro è consapevole di non potersi permettere di tagliare i ponti con la Russia e di stravolgere allo stesso tempo un importante assetto geopolitico e una ormai consolidata partnership commerciale altrettanto fondamentale.
A rendersene conto è lo stesso premier Renzi, che ieri al termine del vertice gallese ha espresso le sue preoccupazioni, ritenendo che ormai la questione della crisi ucraina e delle sanzioni nei confronti di Mosca sia “una questione politica nelle mani della Russia”, aggiungendo poi l’augurio che “Putin voglia mettere davvero fine agli scontri sul terreno, alle invasioni di sovranità. Spero e penso che possa prevalere la saggezza, anche perché nello scacchiere geopolitico avremo bisogno di una Russia pienamente integrata nella comunità internazionale”. Il nostro presidente del Consiglio ha poi fatto eco alla Merkel, trovandosi d’accordo con Berlino sul fatto che un eventuale ritiro delle sanzioni dipenderà dalla “implementazione giorno dopo giorno” dell’accordo che ha stabilito questa – labile – tregua ai confini orientali dell’Europa unita.
Comunque, terminato quello che è stato definito da più parti “un vertice di guerra”, il fronte del conflitto da una parte può sembrare allargato dopo la decisione dei leader dell’Alleanza Atlantica di formare una nuova forza di risposta rapida, un’unità militare perennemente in allerta in grado di entrare subito in azione per rispondere ad eventuali minacce rivolte ai Paesi membri dell’Alleanza stessa. L’annuncio del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha infatti fatto riferimento a una “presenza continua” di difesa nell’Europa dell’est e sono molti a sostenere che tale scelta non farà che aumentare le tensioni con Mosca.
Per di più saranno istituite cinque basi-deposito distribuite lungo i confini con la Russia nei paesi baltici, cioè in Polonia e Romania. E proprio su questo punto, mentre la Merkel lo ha definito un “atto necessario” a seguito delle violazioni di Putin, Renzi preferisce restare su una posizione più mite, invitando ancora una volta a lasciare aperto “il canale del dialogo”, mentre gli Stati Uniti di Barack Obama insistono in un connubio di speranza e incredulità.