Il WHO, World Health Organization, ha lanciato l’allarme: il suicidio è tra le prime tre cause di morte tra i 15-44 enni.
E’ una piaga non uniforme nè per Paese, cultura, sesso, età e per questo complessa da affrontare. Prima di tutto è basilare conoscerla.
Vediamo di seguito il tasso di suicidi per 100 mila abitanti nel mondo:
Spiccano subito i Paesi in cui togliersi la vita è tragicamente più popolare, anche 10 volte più che nei Paesi meno affetti dal problema: i Paesi più colpiti sembrano essere quelli dell’ex blocco comunista, i Paesi Baltici, in particolare la Lituania che supera i 30 morti per 100 mila abitanti, Russia, Ungheria, Slovenia, Lettonia sfiorano o superano i 20. L’altro polo negativo è l’estremo oriente, ovvero la Corea del Sud, al secondo posto con poco meno di 30 e il Giappone circa 21.
Il confronto con altre aree è lampante, in particolare con quelle dell’area mediterranea e del mondo musulmano. I Paesi meno colpiti paiono essere Paesi come Pakistan, Giordania, Kuwait, mentre Grecia e Italia sono gli unici occidentali a stare sotto i 5 morti per 100 mila.
Chiaramente è possibile fare diverse interpretazioni, alcuni dati sono evidenti, ovvero che Paesi in cui maggiore è l’influsso della religione, in particolare quelle monoteiste per cui il sucicidio è un peccato, hanno tassi di suicidio più ridotti, si veda anche Messico o Filippine oltre alla Grecia e all’Italia per il cristianesimo cattolico o ortodosso. la fascia di Paesi musulmani fino all’Indonesia.
Tuttavia sembra contare ancora di più la dimensione comunitaria di cui la fede è un driver importantissimo, ma non l’unico, infatti la pur cattolica Irlanda non ha tassi di suicidio bassi, tutt’altro, così come la Polonia.
Tra i Paesi ad alto tasso di suicidio paiono esserci due gruppi, con cause ben diverse:
– I Paesi dell’Est, ex sovietici o ex comunisti che sono anche tra quelli con il maggior uso e abuso di alcol al mondo, una dipendenza strettamente correlata al suicidio, e che guarda caso si smorzano laddove interviene una identità musulmana, come in Asia Centrale, finoa l Tagikistan che vede tassi anzi tra i più bassi a livello mondiale
– I Paesi che per tradizione vedono il suicidio in termini meno negativi rispetto alla media, ma talvolta come una opzione rispettabile o comprensibile in caso di disperazione ed esigenza di preservare l’onore. Giappone, Sud Corea (dove l’alcol si sovrappone come fattore), India, dove nelle aree rurali un tempo la vedova spesso “doveva” suicidarsi alla morte del marito, quello che ora rimane di ciò è comunque un tabu minore, e inltre togliersi la vita è reso più facile dalla larga disponibilità di pesticidi.
Non vi è una chiara differenza tra Paesi ad alto reddito e quelli a reddito basso, se non nell’età dei suicidi, cosa però comprensibile visto che la popolazione nei Paesi in via di sviluppo è decisamente più povera, oltre ad essere maggiore:
Come si vede i Paesi a reddito medio-basso costituiscono il 75% dei suicidi, che avvengono con un picco tra i giovani sui 25 anni.
Il lato però più significativo e forse più sconosciuto della piaga dei suicidi è la differenza di genere, ovvero il fatto che colpisce molti più uomini che donne, con un rapporto più che doppio in media, e con differenze, in questo gap, non banali.
Innanzitutto pare esserci una maggiore tendenza al suicidio maschile nei Paesi avanzati piuttosto che in quelli in via di svilupo, come vediamo dal seguente grafico:
Nello specifico però vediamo nella mappa laddove il rapporto uomo-donna è maggiore e dove è minore:
Sicuramente non vi è una grande relazione tra tendenza al suicidio tout-court e rapporto uomo-donna: quest’ultimo è molto alto sia in Paesi con molti suicidi che in pochi, per esempio è altissimo sia nell’Est Europa, sia in Italia, Messico eo Filippine. I fattori quindi sono ancora una volta socio-culturali.
Appare chiaro, per il blocco orientale, che laddove il suicidio è motivato in gran parte dall’abuso di alcol, la prevalenza maschile sia massima. Alto rapporto anche in Paesi ad alto reddito laddove l’uomo è sottoposto a stress maggiori e reagisce peggio della donna di fonte a questi, come è dimostrato che accada di fonte a un lutto o a una separazione, oltre che alla perdita del lavoro, che in tempi di crisi ha colpito soprattutto gli uomini. A questo proposito uno studio inglese mostra come ci sia una forte correlazione tra suicidio degli uomini over 50 e tasso di disoccupazione:
Allo stesso modo anche in USA vi è stato un generale aumento dei suicidi tra il 1999 e il 2010, come riportato dal Centre for Disease Control and Prevention, in particolare vi è stato un aumento tra gli americani tra i 35 e i 64 anni del 30%, e del 50% tra gli uomini 50enni, in cui il tasso di suicidio era di ben 30 ogni 100 mila abitanti. L’aumentata diffusione di farmaci come Oxycontin o oxycodone e lo sfilacciamento dei rapporti familiari e dei legami per la generazione dei baby-boomer è tra i fattori.
In generale un’altra ricerca inglese testimonia il maggiore peso del suicidio tra 25-65enni rispetto alle classiche categorie di anziani ed adolescenti ritenute più vulnerabili:
Al contrario la differenza tra uomini e donne è bassa in alcuni Paesi in via di sviluppo, e in particolare in Cina, che rappresenta un’eccezione in quanto sembrano essere le donne a suicidarsi maggiormente. Qui sono esasperate alcune condizioni che sono comuni ad altri Paesi a medio o basso reddito, ovvero il peso sulla donna della responsabilità della famiglia, soprattutto del dovere social di formarne uno e di avere dei figli, cosa che sempre più non accade, una responsabilità che non viene meno con il sorgere degli obblighi lavorativi, che anzi si sommano, assieme a quelli di badare ai genitori anziani. Un peso che genera stress spesso poco sfogabili ed esprimibili da parte di una donna in Asia, un continente in cui in molte zone rurali ci si doveva scusare di essere nate di sesso femminile.
Il suicidio è ancora vittima sia di stigma, e di un malinteso senso di vergogna, tanto da essere probabilmente sottostimato sia in Occidente che nei Paesi più poveri, allo stesso tempo vi sono pregiudizi e false credenze sulle cause e sui segmenti di popolazione più in pericolo, così che la prevenzione immaginata dal WHO è molto complessa in quanto multifattoriale, ma dovrà certamente avere a che fare con i nuovi fenomeni legati all’incertezza economica e alla maggiore fragilità del settore che si credeva più invulnerabile, l’uomo di mezza età.