Domenica 14 Settembre, Petro Poroschenko taglierà il traguardo dei 100 giorni come Presidente della Repubblica di Ucraina. Il “re del cioccolato” in campagna elettorale aveva detto “è il momento di cambiare vita”. A 3 mesi dall’inizio del suo mandato l’Ucraina ha davvero cambiato vita, vedendo nettamente peggiorare la sua condizione.
Poroschenko aveva esordito come massima autorità ucraina annunciando un viaggio nelle regioni dell’Est in tumulto: la visita, secondo quanto detto da lui stesso, avrebbe dovuto inaugurare il varo un serie di provvedimenti volti a decentrare il potere. Inutile dire che non ha mantenuto la promessa: Poroschenko semmai ha dato il via a un’operazione anti terrorismo nelle regioni di Donetsk e Luhansk. L’esercito di Kiev ha usato anche armi pesanti e missili Grad contro i centri residenziali dell’Est. L’obiettivo era stanare i ribelli, alla fine è stata la popolazione civile a pagare lo scotto più grave dei bombardamenti e dei combattimenti in generale: oltre 2500 i morti, 6000 i feriti.
Amnesty International, per voce del suo segretario generale Salil Shetty, ha inoltre criticato i vertici dello Stato ucraino per il massiccio utilizzo di volontari non militari accorpati alle truppe regolari. L’ONG internazionale ha raccolto molte prove e testimonianze sulle crudeltà perpetrate da oltre 30 bande di milizie, tra di esse in particolare il battaglione Aidar sembra aver compiuto ampie e sistematiche violazioni dei diritti umani.
In questo momento la guerra sembra essersi fermata nelle regioni orientali, anche se la situazione è tutt’altro che pacificata. D’altra parte si è ancora lontani dal vedere il raggiungimento di una soluzione politica: Poroschenko si è impegnato a concedere ai separatisti filorussi al massimo uno “statuto speciale” per le regioni del Dombas, un’autonomia che non vada a intaccare l’integrità della nazione. Il portavoce dei ribelli Vladimir Inogorodtsev ha risposto: “al Dombas serve l’indipendenza”.
Se non bastassero le insidie della tregua anche l’economia regala al Presidente preoccupazioni a piene mani. Il preannunciato boom di investimenti stranieri promesso da Poroschenko non si è verificato, ad Agosto l’agenzia di rating Fitch ha declassato l’Ucraina dal livello B- a quello CCC. Ad accrescere il rischio default anche la perdita di valore della moneta nazionale: il tasso del dollaro sulla grivnia è aumentato del 75% dall’inizio dell’anno.
Senza contare la quasi totale perdita dell’apparato industriale concentrato nelle regioni dell’Est e il relativo impatto nel medio-lungo termine sulle casse dello Stato, la perdita della Crimea causerà un danno all’economia stimato in un trilione di grivnie, 100 miliardi di dollari; l’operazione militare, secondo le stime del ministro dell’Economia di Kiev Oleksandr Shiapak, costa mensilmente un miliardo e mezzo di grivnie (116 milioni di dollari), mentre l’inverno si avvicina Gazprom continua a chiedere all’azienda nazionale del gas ucraina, la Neftogaz, il pagamento di forniture arretrate per 6 miliardi di dollari: tutti questi dati forniscono l’immagine di un paese sull’orlo del precipizio.