L’industria italiana ha pagato un prezzo “enorme” a causa della crisi economica, sia in termini di produzione che di perdita di posti di lavoro. La produzione industriale è di circa il 25% al di sotto del livello pre-crisi, un crollo che ha colpito anche settori, come quello degli elettrodomestici, dell’auto e delle calzature, che sono stati a lungo la spina dorsale dell’industria italiana. È quanto emerge dal Rapporto sulla competitività in Europa pubblicato dalla Commissione Ue. Difficoltà a cui contribuiscono anche una produttività stagnante e prezzi dell’energia fra i più alti in Europa. Nonostante il costo della crisi, si sottolinea nel rapporto, la manifattura italiana mantiene una percentuale del valore aggiunto del Pil del 15,5%, ancora al di sopra della media Ue (15,1%).
Inoltre il settore manifatturiero è una “fonte essenziale di innovazione e competitività”, che contribuisce per il 70% della spesa privata in ricerca e sviluppo e rappresenta quasi l’80% delle esportazioni. La produzione industriale sta vivendo una ripresa “lenta e irregolare”, trainata dalla fiducia delle imprese, migliorata sulla base della crescita degli ordini per le esportazioni. Ma dal 2011 la performance dell’export è stata “l’unica componente ad aver contribuito positivamente alla crescita”.La produttività, si evidenzia nel rapporto dell’esecutivo di Bruxelles, è rimasta “sostanzialmente invariata, ampliando ulteriormente il divario con i principali concorrenti”.
La crescita lenta della produttività “è in gran parte dovuta all’inefficienza nell’allocazione delle risorse”. E se il tasso di investimento in Italia è paragonabile a quello di altri Paesi dell’area dell’euro, il livello di efficienza del capitale è “più basso e in calo”. Il rapporto cita anche alcune recenti analisi, secondo cui “una delle cause della modesta crescita della produttività è che le riforme del mercato del lavoro si sono concentrate principalmente sulla flessibilità e hanno trascurato di affrontare le rigidità del meccanismo di determinazione dei salari”.
Questo sta producendo “effetti perversi: dal 2000 i salari sono aumentati più in settori dove la produttività del lavoro è cresciuta di meno, e, nel breve termine, l’occupazione tende a muoversi verso settori in cui la produttività del lavoro sta aumentando di meno”. Infine a pesare sulla competitività della manifattura italiana sono i prezzi dell’energia elettrica per gli utenti finali, “tra i più alti in Europa, a causa di una combinazione di pesanti tasse e imposte (le più alte in Europa) e di elevati costi di approvvigionamento (i terzi più elevati in Europa)”.