La Catalogna guarda al referendum per l’indipendenza della Scozia con tanto interesse e un po’ di invidia. In quella che è una delle regioni più ricche di Spagna potrebbe infatti tenersi una consultazione popolare simile il prossimo 9 novembre. Il condizionale è d’obbligo, però, visto che la Costituzione spagnola non consente a una regione di separarsi dal resto della nazione attraverso un referendum. Servirebbe un apposito emendamento. Che a Madrid non vogliono votare. Anche il primo ministro Rajoy si è detto profondamente contrario. ll referendum convocato in Catalogna per il prossimo 9 novembre rischia così di andare a sbattere contro gli scogli del diritto costituzionale. Ma i sostenitori dell’indipendenza vanno dritti per la loro strada.
La Catalogna è una regione autonoma spagnola. Conta circa 7,5 milioni di abitanti. Gode di margini di autonomia piuttosto estesi nei confronti del governo centrale. Il tema dell’indipendenza però ha sempre attraversato la cultura, la politica, l’intera società.
Ieri nella regione era il giorno della festa nazionale catalana. Per le strade di Barcellona sono sfilate migliaia di persone: 1,8 milioni secondo il Comune, 500.000 secondo il governo. In ogni caso, un fiume di gente per chiedere a Madrid di consentire alla regione di esprimersi attraverso un referendum.
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Nei giorni scorsi, Artur Mas, presidente regionale catalano e leader del partito Convergència i Unió, ha detto al Financial Times che “una vittoria dei sì al referendum scozzese spianerebbe la strada all’indipendenza della Catalogna e al suo riconoscimento internazionale” perché “i leader europei non avranno nessuna esitazione ad accettare il verdetto del referendum”. Mas crede che, se in Scozia dovessero vincere gli indipendentisti, Edimburgo, Londra e Bruxelles si accorderebbero in fretta per tenere il paese all’interno dell’Ue, stabilendo così un precedente per tutte quelle realtà che aspirano alla piena autonomia – Catalogna compresa.
Tra Madrid e Barcellona la questione si gioca tutta in punta di diritto. I paletti costituzionali di cui ha parlato Rajoy non spaventano Mas, convinto che un referendum non giuridicamente vincolante sarebbe comunque possibile secondo le leggi catalane. Ma, soprattutto, “se la popolazione catalana vuole votare sul suo futuro, è praticamente impossibile impedirlo a tempo indefinito” ha detto Mas, “il governo spagnolo dovrà rendersene conto”.
I movimenti indipendentisti sostengono che separarsi dalla Spagna consentirebbe alla regione di godere completamente della propria ricchezza: la Catalogna prospererebbe più di quanto non riesca a fare oggi. La parte politica che sostiene l’indipendenza rimprovera al governo centrale di Madrid di aver destinato pochi investimenti alla Catalogna, regione che contribuisce da sola a un quinto della ricchezza nazionale. In pratica, la Catalogna dà alla Spagna più di quanto non riceva indietro. La crisi economica ha infiammato il dibattito: la regione è scivolata nella spirale della recessione, ha perso posizioni nei confronti di altre zone della Spagna, ha fatto debiti e ha visto crescere la disoccupazione. Alle ultime elezioni europee, a Barcellona e dintorni si è imposto l’Esquerra Republicana de Catalunya: partito di sinistra, repubblicano, che sostiene l’indipendenza della regione catalana e che è pronto a invocare la disobbedienza civile pacifica se Madrid non dovesse concedere il referendum
Ma non è solo una questione di soldi. Non si tratta solo di gestire completamente le proprie ricchezze. In Catalogna, l’identità culturale è un elemento tutt’altro che secondario. I sondaggi dicono che il 60 per cento degli abitanti si identifica prima di tutto come catalano. Da quelle parti si parla catalano, una lingua affine allo spagnolo dal quale però si differenzia notevolmente per fonetica e grammatica.
Secondo alcune indagini, il referendum del 9 novembre potrebbe vedere i sostenitori dell’indipendenza imporsi con il 57 per cento dei voti: un aumento di 10-15 punti rispetto a un po’ di anni fa. Ma il tedesco Der Spiegel ha sottolineato come questi numeri siano estremamente variabili: solo poche settimane fa, quasi quattro catalani su dieci si dicevano pronti a restare nella Spagna in cambio di maggiore autonomia. I timori sono per la tenuta dei conti pubblici. C’è chi crede che una separazione potrebbe essere dannosa. E c’è chi crede che in fondo sia un’ipotesi irrealizzabile. Proprio come sostiene Madrid.