Secondo Mario Calabresi, il modo di consumare informazione può essere equiparato al modo in cui è cambiata la nostra dieta: quindici anni fa c’era una “dieta tradizionale” che, rimasta invariata nei cinquant’anni precedenti, era composta di colazione (giornali radio), pranzo (quotidiani) e cena (telegiornale). Ognuno di questi momenti era seguito dall’inizio alla fine, era un modello stabile, in cui gli spazi dell’informazione erano definiti e gli appuntamenti ben chiari: ciò portava a un pasto migliore poiché maggiormente digeribile.
Oggi le cose sono cambiate: non c’è tempo per riflettere su ciò che si è ascoltato e ciò spesso crea malessere, cortocircuito: oggi, in altre parole, la nostra dieta è diventata qualcosa in cui noi riceviamo informazione a piccoli pezzi, la sbocconcelliamo, come succede durante l’happy hour; ma se una persona cena tutte le sere con l’happy hour alla lunga può incappare nell’acidità di stomaco, rischio che ha portato nella società occidentale un acidimento del dibattito pubblico.
Un altro difetto è quello che in questo sbocconcellare nessuno si preoccupa della qualità: il patto è di non chiedere nulla, tanto è tutto compreso nel prezzo! Allo stesso modo le notizie gratis non sono ben realizzate ma sono tempestose ed emozionanti. Ma allora che dobbiamo fare? Forse tornare indietro? No, perchè non è possibile, piuttosto dobbiamo portare la qualità attraverso un giornalismo tradizionale il cui compito è, come in un ristorante di classe, di servire prodotti genuini, sani, approfonditi, che siano capaci di porre dubbi ai lettori e ai cittadini.
Clara Amodeo