Se domani gli scozzesi voteranno sì, in Europa avremo una nuova nazione e il Regno Unito così come lo conosciamo non esisterà più. Se domani gli scozzesi voteranno no, la Scozia resterà lì dov’è. Ma cambierà tutto comunque. Il referendum in programma domani a Edimburgo e dintorni rappresenta infatti un punto di svolta. Per tante ragioni.
Vada come vada, c’è già un vincitore: è Alex Salmond, primo ministro scozzese, leader della campagna per l’indipendenza ‘Yes Scotland’. Se prevarrà il sì, Salmond avrà il suo nome nei libri di storia. Se vincerà il no potrà comunque raccogliere i frutti della sua semina. Salmond è stato capace di mobilitare il paese, ha giocato bene le sue carte, ha entusiasmato l’elettorato mentre gli avversari parlavano di ‘salto nel buio’ elencando i rischi del distacco e non i vantaggi del rimanere uniti. Salmond è riuscito a rendere avvincente una partita che un paio di mesi fa sembrava avere un esito scontato. Ha reso più forte il suo partito, lo Scottish National Party, e ha reso più forte la causa indipendentista. A prescindere dal risultato di domani, in futuro Edimburgo avrà più poteri e Londra dovrà cedere sovranità. Il Guardian ha ricordato che secondo molti analisti sin dall’inizio era questo il vero obiettivo di Salmond.
David Cameron lo ha detto un paio di giorni fa: “Non è più possibile lo status quo”. Il premier britannico ha promesso a Edimburgo che in caso di vittoria del no “ci sarà un programma senza precedenti di devolution, con nuovi poteri al Parlamento scozzese in materia di tasse, spesa pubblica e welfare”. Ma il rischio è quello dell’effetto a catena. Concedere maggiore autonomia alla Scozia spingerà probabilmente Londra a dover dare qualcosa anche al Galles e all’Irlanda del Nord, ha scritto l’agenzia Reuters. L’assetto amministrativo del Regno Unito è stato travolto da un terremoto: e come dopo ogni terremoto seguiranno scosse di assestamento.
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Ma il referendum in Scozia ha un impatto anche oltre la Manica, e potrebbe innescare una valanga di richieste analoghe in giro per l’Europa dove i movimenti indipendentisti non mancano. Se preverrà il fronte del sì e Bruxelles dovesse riprendere in breve la nuova Scozia sotto la sua ala, si stabilirebbe un precedente che potrebbe rinvigorire i tanti movimenti per l’autonomia.
Quello che accadrà domani a Edimburgo è già di per sé un segnale che mostra come esista per l’indipendenza una via democratica, pacifica e in definitiva più efficace. Ciò che sta accadendo in Scozia rende ad esempio più difficile per il governo spagnolo resistere alle pressioni indipendentiste della Catalogna, dove per il 9 novembre è convocato un referendum che Madrid ha intenzione di fermare a ogni costo. Concedere qualcosa alla Catalogna significherebbe infatti dover fare altrettanto con i Paesi Baschi.
In giro per il mondo ci sono molti movimenti con ambizioni indipendentiste più o meno realistiche che seguono da vicino l’evolversi della situazione a Edimburgo. In Italia c’è la Lega. Parlando del referendum scozzese, Matteo Salvini ha detto che “poter decidere è già una vittoria. In Italia, purtroppo, ci dicono che non si può, ma noi la battaglia indipendentista non l’abbiamo mai smessa”. In Corsica esiste un movimento separatista da anni. In Belgio il Movimento Fiammingo tifa per una Scozia indipendente. Dagli Stati Uniti, Daniel Miller, leader del Texas Nationalist Movement, ha dichiarato che ciò che stanno facendo gli scozzesi apre la strada all’indipendenza del Texas. In Medio Oriente i curdi inseguono l’indipendenza da decenni – ma per loro la strada verso il riconoscimento dell’identità nazionale non passerà mai per un referendum.
Il referendum in Scozia incrocia anche i sentieri della diplomazia e delle tensioni internazionali. Mosca, infatti, osserva ciò che sta accadendo a Edimburgo e aspetta di vedere quale sarà la reazione della comunità internazionale. In ballo c’è la lettura di ciò che è accaduto in Crimea la scorsa primavera: per Mosca si è trattato di una popolazione che sceglie democraticamente di separarsi dal governo centrale. Pochi però fuori dalla Russia condividono il parallelo tra la Crimea e la Scozia. Le posizioni di Kiev e Londra nei confronti dei rispettivi referendum sono molto diverse, del resto: Londra l’ha concesso, Kiev l’ha considerato illegale. E anche il contesto era differente: pacifico nel Regno Unito, confuso e violento in Ucraina. In ogni caso, anche a est dell’Europa si segue da vicino un referendum che domani potrebbe sancire l’inizio di una nuova fase per la Scozia. E forse non solo per la Scozia.
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