La prima pagina del quotidiano Indipendent titola “The reunite Kingdom”. Il sito della BBC dice “Scotland says no to indipendence”. Il Guardian ha messo il faccione di Alex Salmond in prima pagina con la scritta “Scotland says no”, perché proprio di questo si tratta: la Scozia ha detto no. Il referendum per l’indipendenza ha visto prevalere il fronte di chi vuole restare nel Regno Unito.
Il no ha vinto con il 55 dei voti. Agli indipendentisti il 45 per cento.
In quasi tutte le amministrazioni della Scozia hanno prevalso gli unionisti. In quasi tutte, ma non in tutte. A Glasgow, ad esempio, gli indipendentisti hanno vinto con il 53,5 per cento: non un dato di poco conto, visto che si tratta della più grande città del paese. A Edimburgo il no ha ottenuto il 61 per cento.
È stata una lunga notte, quella vissuta in Scozia. I seggi hanno chiuso alle 23 ora italiana e da quel momento è cominciato lo spoglio. Altissima l’affluenza: 87 per cento nella contea di Aberdeen, 84,3 a Edimburgo. A Dundee è stato registrato il 78,8 per cento. Ne esce fuori una media dell’84,6 per cento, la più alta mai registrata in una elezione in Scozia. Non è stata una sorpresa, del resto. Circa 4,3 milioni di persone si erano iscritte alle liste elettorali: il 97 per cento degli aventi diritto.
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Alex Salmond, leader dello Scottish National Party e promotore della campagna indipendentista, ha twittato alle 6,30 (ora italiana) un ringraziamento all’intero popolo scozzese per un risultato così incredibile.
Più o meno nello stesso momento il premier britannico David Cameron twittava così: “Ho parlato con Alistair Darling (leader della campagna unionista, ndr) – e mi sono congratulato con lui per la campagna ben condotta”. È il sospiro di sollievo di Westminster, della City, di Londra, che avevano temuto di ritrovarsi con un Regno Unito mutilato, un Partito Laburista ridimensionato, una sterlina impoverita e un terremoto amministrativo al proprio interno. “Quello di oggi è un risultato molto importante per la Scozia ma anche per il Regno Unito nel suo complesso” ha dichiarato Alistair Darling, “gli scozzesi hanno scelto l’unità e non le divisioni”.
Ma anche a Bruxelles hanno di sicuro tirato un sospiro di sollievo, avendo scansato l’insidia di doversi confrontare con un precedente giuridico inedito: un paese che nasce all’interno dell’Unione europea e che nell’Unione europea ci vorrebbe rientrare subito.
Ha vinto il no, la Scozia non sarà indipendente ma il referendum di ieri non è privo di conseguenze. Il vice primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, ha detto alla BBC che “ci sono due messaggi chiari. Primo: il popolo scozzese ha trovato la sua voce. Secondo: più di un milione di persone hanno votato per l’indipendenza, c’è grande voglia di cambiamento. Quello che non si vede, da nessuna parte, è il sostegno allo status quo”.
Ha ragione e del resto lo si sa da giorni. Londra aveva promesso un imponente piano di devolution in caso di vittoria del no e ora dovrà mantenere la parola: “Sarò lieto di incontrare Alex Salmond per parlarne” ha scritto su Twitter David Cameron. Ma a quel punto non è da escludere che richieste analoghe arriveranno anche da Galles e Irlanda del Nord. La Scozia ha detto no, ma da stanotte nulla è più come prima.
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