(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Dal 26 giugno 1995, giorno in cui Hamad bin Khalifa Al Thani assumeva la guida del Paese, la storia del Qatar è cambiata. Succedendo al padre Khalifa bin Hamad, il nuovo emiro – in carica fino all’estate del 2013 – ha inaugurato una politica estera incisiva, volta a trasformare Doha da isolato centro petrolifero a vera e propria potenza sovraregionale.
L’attivismo internazionale qatariota può contare su un enorme potenziale finanziario che scaturisce dalle ingenti risorse di idrocarburi: oltre ai numerosi giacimenti petroliferi, infatti, il Qatar può contare sul più grande giacimento di gas naturale del mondo, gestito in condominio con l’Iran. A questi dati si aggiunge l’aspetto demografico.
La popolazione è assai esigua, raggiungendo a stento le trecentomila unità (complessivamente è stimata in due milioni, ma più della metà è costituta da lavoratori immigrati). Ciò consente alla monarchia di gestire un consistente surplus di capitali da investire sul proscenio internazionale. A occuparsi concretamente della distribuzione di questi proventi è la QIA (Qatar Investment Agency), la quale ha disegnato logiche distinte in base alla regione di investimento.
Nella parte occidentale del mondo, il Qatar segue due traiettorie: quella economica, volta a garantire all’emirato importanti quote in compagnie strategiche (ad esempio petrolifere e aeree) capaci di assicurare rendite a lungo termine, e quella d’immagine, che la monarchia di Doha attua mediante l’acquisizione di case di moda e società sportive, in primo luogo calcistiche.
Photo by Juanedc – CC BY 2.0
In Medio Oriente, viceversa, il discorso è assai più ampio. La grande occasione si è aperta nel 2011, l’anno delle primavere arabe. Dinanzi agli sconvolgimenti geopolitici in atto, Doha si è rivelata la più abile giocatrice in campo. A fare la differenza è stato il rapporto già solido fra monarchia qatariota e Fratelli Musulmani: non da ultimo, in Qatar è ospitato il predicatore Yusuf al-Qaradawi, teologo di riferimento del movimento, che conduce una sua rubrica sulla locale Al-Jazeera.
Quando l’ondata delle rivolte ha portato via con sé i dittatori, il Qatar ha sfruttato il legame con la Fratellanza, appoggiandone l’ascesa politica in Tunisia ed Egitto. Soprattutto quest’ultimo, dopo la vittoria di Mohammed Morsi, è divenuto il centro dove investire per estendere la propria influenza e compiere un ulteriore passo in avanti verso il grande progetto di Al Thani: sfilare all’Arabia Saudita l’egemonia geostrategica nel Golfo.
Partendo dal pivot egiziano, la monarchia qatariota ha esteso le sue manovre a Gaza (controllata da Hamas, di fatto costola dei Fratelli Musulmani), promettendo forti investimenti infrastrutturali nella Striscia, e in Siria, dove è noto il sostegno economico di Al Thani alle forze di opposizione al regime di Assad.
Questa politica di intensa proiezione mediorientale, si è arenata nel luglio 2013 con il rovesciamento di Morsi per mano dell’esercito egiziano, non a caso finanziato dai sauditi, volenterosi di reagire alla minaccia al loro potere portata da Al Thani.
Al momento Doha non è riuscita a reagire concretamente e si trova isolata all’interno del Gulf Cooperation Council, dopo il ritiro dal Paese degli ambasciatori di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein. Difficilmente, tuttavia, Al Thani, che pure ha abdicato in favore del giovane e anch’egli ambiziosissimo figlio Tamim bin Hamad, rinuncerà alle sue mire di gloria, rimanendo sempre lui il vero stratega della monarchia qatariota, pur formalmente da dietro le quinte.
Matteo Anastasi
(Mediterranean Affairs – Editorial board)
Immagine in evidenza: photo by Larry Johnson – CC BY 2.0