Ucraina, cessate il fuoco ibrido
Il cessate il fuoco siglato a Minsk il 5 Settembre tra Russia, Ucraina e Osce e inaugurato tre giorni dopo alla presenza dei rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk sta reggendo. Gli scontri si sono notevolmente mitigati anche se non del tutto interrotti: per esempio continua lo scambio di prigionieri, era uno dei punti dell’accordo.
Nell’accordo invece non si prende in considerazione il problema dell’autonomia delle regioni dell’Est Ucraina: la questione è lontana dall’essere risolta. Anche se Poroschenko si è ultimamente impegnato nel concedergli uno statuto speciale sembra che i ribelli filorussi siano ancora nettamente determinati a conquistare l’indipendenza, a dare vita alla Novorossiya.
Non passa giorno senza che lo stesso Poroschenko prometta nuovi finanziamenti per il Dombas, a patto che la regione rimanga sotto la bandiera ucraina. Tuttavia, come ha riferito sempre il Presidente ucraino, è stato dato il via alla costruzione di una “linea di difesa” al confine con le regioni di Donetsk e Luhansk. La tregua sta servendo a Kiev per riprendersi dalle perdite riportate, soprattutto in seguito all’apertura del terzo fronte nei pressi di Mariupol.
L’evento in qualche modo ha segnato la svolta della “guerra civile”, imponendo al governo centrale di scendere a patti con i separatisti. Il cessate-il-fuoco è tornato utile anche ai filorussi che, nonostante avessero in pugno le sorti della guerra, non potevano perdere l’occasione di provare a conquistare il massimo risultato, ovvero l’Indipendenza, prima del previsto.
In tale scenario il fattore che pesa di più sembra essere la volontà di Vladimir Putin: la possibile indipendenza della Repubblica di Donetsk e Luhansk è la carta decisiva in mano al Cremlino. La minaccia di una secessione, piuttosto che la vera e propria conquista di essa, è al momento il maggiore elemento di destabilizzazione della politica e dell’economia ucraina.
A Mosca sanno che il riassetto del paese nella propria orbita è una campagna a lungo termine, in quest’ottica si prevedono una serie di ri-escalation del conflitto nell’Est. The Polish Institute of International Affairs indica come momenti di “crescente vulnerabilità” di Kiev: il 26 Ottobre, cioè il periodo delle elezioni, e i primi giorni di Novembre con l’arrivo delle prime gelate invernali.
Ma non è detto che la Russia e i separatisti scelgano nuovamente di ingaggiare un corpo a corpo con Kiev. L’output industriale ucraino ha registrato un calo del 21,4% ad Agosto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ben al di sopra delle stime che si attestavano al -18%, il dato a livello mensile è del -12,7%. Quindi 2014 si è verificato il peggior calo della produzione industriale dal 2009, fa seguito a un -12% registrato su base annuale a luglio. Inoltre, l’economia ucraina si contrarrà del 9% quest’anno, un dato ben peggiore di quanto stimato dal FMI al momento dell’erogazione del pacchetto di salvataggio.
Sempre più scettico l’atteggiamento dei detentori di obbligazioni sovrane ucraine: hanno toccato un rendimento del 10,61%, livello più alto da 4 anni a questa parte, il timore di default monta sempre di più. L’attività di estrazione del carbone è scesa del 60%, la produzione di acciaio del 30%: Kiev avrebbe immediato bisogno di accedere alle risorse del Dombas per fermare il collasso economico ma il tessuto industriale e i giacimenti sono in mano ai filorussi.
In una tale posizione di vantaggio, a che pro affrontare i rischi di un’operazione militare?