L’inizio delle operazioni militari in Siria contro le postazioni dell’Isis riporta in primo piano sulla scena internazionale il presidente Bashar al-Assad e il suo ruolo nel conflitto contro lo Stato Islamico.
Dal Pentagono hanno detto che “non c’è stata nessuna resistenza e nessuna interazione con le forze aeree o le difese militari siriane”. A Damasco non sono state chieste autorizzazioni, ha sottolineato la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jennifer Psaki. Il governo di Assad ha raccontato di essere stato informato dall’inviato Onu in Siria prima dell’inizio dei raid. Ma soprattutto Assad ha affermato di “sostiene tutti gli sforzi internazionali contro i jihadisti”.
Il Washington Post ha scritto che queste parole possono essere lette come il tentativo di Assad di posizionarsi sullo stesso lato dell’America, vale a dire tra coloro che vogliono sconfiggere l’Isis: Assad afferma di condividere gli stessi obiettivi di Obama e del resto Damasco ha tutto l’interesse a lasciare che i nemici interni vengano colpiti e indeboliti. Oltre all’Isis sono stati attaccati anche altri gruppi estremisti islamici presenti sul suolo siriano: Al Nusra (il suo leader è rimasto ucciso) e Khorasan, entrambi affiliati ad Al Qaeda.
Né gli Usa né la Gran Bretagna vogliono cooperare apertamente con Bashar al-Assad, ritenuto responsabile per la morte di migliaia di persone durante la guerra civile siriana: nessuno dei due governi vuole dare l’impressione di dialogare con una personalità che Washington e Londra hanno messo sul libro nero.
La stampa internazionale aveva però già messo in evidenza come nei giorni scorsi ci fossero stati contatti dietro le quinte tra diplomatici statunitensi e siriani. Per la Casa Bianca il rapporto con il regime di Damasco è affare complicato: da un lato è impossibile non avere alcun tipo di contatto con Assad nel momento in cui si dà il via a un’operazione in Siria, dall’altro non si vuole dare l’impressione di fornire legittimazione politica al regime di Damasco.
Obama ha dichiarato di voler fornire equipaggiamenti, munizioni e apparecchiature ai ribelli siriani moderati che dovrebbero poi combattere lo Stato Islamico in Siria. Il problema è scegliere a chi dare le armi. Ed è un problema anche prevedere che uso ne verrà fatto. Alcuni gruppi di insorti potrebbero sfruttare le risorse occidentali per combattere la loro battaglia contro il regime di Damasco, e non contro l’Isis. Altri gruppi potrebbero non attaccare lo Stato Islamico senza prima aver ottenuto dagli Usa l’impegno a rovesciare il regime di Damasco.
Assad ha pagato duramente il prezzo di quattro anni di guerra. È più debole e ha perso il controllo di una parte del territorio siriano. Ma la CNN ha sottolineato che i gruppi che lo combattono sono tutti messi peggio. Per questo potrebbe essere proprio Assad a raccogliere nell’immediato i frutti di una campagna militare che gli Usa e i loro alleati arabi potrebbero dover portare avanti a lungo.
Immagine in evidenza: photo by Official US Navy Page – CC BY 2.0