Lavoro, Civati: “Se Renzi insiste sarà rottura” Il Premier fa spallucce “Andiamo avanti”
Centrosinistra sempre più spaccato sul Jobs Act. Mentre due pezzi da novanta della galassia renziana, il ministro del Lavoro Marianna Madia e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, difendono l’impianto della riforma del lavoro, l’ormai ex alleato Sel grida allo scandalo.
“Miglioreremo la situazione di tutti, avranno tutti quello che avevano o di più. Ci sono decine di contratti, noi invece vogliamo unificare. Se siamo tutti più sinceri si potrà fare una discussione serena. Ma bisogna partire da dati di realtà: oggi per la mia generazione il diritto al reintegro è superato dai fatti” ha detto Madia in un’intervista alla Stampa.
Il Jobs Act “è una riforma di sinistra, molto attesa da tutte le persone che in questi ultimi 20 anni hanno aspettato diritti mai arrivati: salario minimo, diritto alla maternità per tutte, ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro”, dichiara il ministro. Sugli ammortizzatori, “ho sentito Fassina dire che servirebbero 4 miliardi, potrei rispondere che non l’ha fatto nessuno prima di noi. Io credo che il suo ruolo e quello della minoranza sia di aiutarci a fare una migliore revisione della spesa e recuperare quanti più soldi possibile”.
Stesso discorso, più o meno, lo fa il primo cittadini torinese Chiamparino, che parla della necessità di una nuova politica industriale e di nuove relazioni contenute nel Jobs Act. “Sarebbe importante che il sindacato si interrogasse su come ridisegnare la politica industriale dell’Italia, sugli strumenti con i quali rendere il Paese più competitivo: dal credito d’imposta ai fondi europei, che devono servire a realizzare i progetti e non solo a pagare i progettisti. Per poi offrire questa riflessione agli investitori, italiani e stranieri”.
Sull’articolo 18, “a me sembra una norma di buon senso mantenere il reintegro nei casi in cui i licenziamenti sono riconducibili a motivi discriminatori. Anzi, credo che questa garanzia vada estesa anche a chi lavora in imprese con meno di quindici dipendenti”, dice Chiamparino. “Per tutto il resto sono convinto che l’impostazione del governo sia corretta, a patto che la legge non sia retroattiva: vale a dire che per i neo-assunti ritengo giusto, nei casi in cui l’azienda per motivi di mercato e di riorganizzazione debba procedere, rivedere l’articolo 18, contemplando al posto del reintegro una forma di risarcimento economico, naturalmente anche ipotizzando l’istituzione di un arbitrato che possa fare da bussola di fronte alla discrezionalità delle magistrature”.
Completamente diverso l’approccio al tema di Sel, che invece giudica “abominevole” il Jobs Act e annuncia la presentazione di 350 emendamenti e una pregiudiziale per violazione dell’articolo 76 della Costituzione. “Quanto ci propone Renzi è quanto di più veccho ci sia”, ha spiegato Airaudo annunciando anche il sostegno agli emendamenti della minoranza del Pd: “Noi abbiamo le nostre modifiche, che consideriamo le migliori. Ma nella logica di non far danno ai lavoratori potremmo sostenere anche gli altri”. Pippo Civati è ancora più duro: “Se il premier insiste, la rottura sarà inevitabile”.
Da Oltreoceano però Renzi sembra voler continuare per la sua strada: “Lunedì alla direzione Pd ci si ascolta, si decide e si va tutti insieme. La riforma non è più rinviabile. Rispetto la discussione e questo può aiutare ad uscirne in modo più forte ma è chiaro che non è pensabile che ci siano momenti in cui uno si ferma e si tira indietro. La prima cosa da cambiare in Italia è il mercato mercato del lavoro, concentrato sul passato”. Dalla Cgil arriva una mezza apertura al premier. “Se si parla di allungare il periodo di prova, sono per discutere dei tempi”: “capisco che ci sia una stagione” in cui “l’articolo 18 non vale” ma è necessario “che sia transitoria” ha detto leader Cgil, Susanna Camusso, sul contratto a tutele crescenti sottolineando che “tre anni e sette anni non sono la stessa cosa”.