Manager di stato: il cambio al vertice costa 25 milioni di euro
Eni, Enel, Terna e Finmeccanica. E forse anche Poste Italiane. Queste le società per le quali oggi pomeriggio, con molta probabilità a mercati chiusi, il governo comunicherà i nomi dei nuovi vertici aziendali. Colossi di cui lo stato è il primo azionista e su cui l’esecutivo Renzi si gioca una grande fetta di credibilità, nel nome di una svolta ribattezzata dallo stesso premier come “la volta buona”.
Un toto-nomine su cui, nei giorni scorsi, è impazzata la questione della parità di genere, annunciata anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, e la proposta di un significativo ricambio generazionale. Una partita importante per l’ex rottamatore,a cui molti, nelle ore successive al naufragio del governo Letta, avevano attribuito il pressing del segretario dem e il cambio sulla poltrona di Palazzo Chigi.
Nomi e volti nuovi per “holding di stato”, così le definisce stamattina Rizzo sul Corriere, in cui gli amministratori delegati sono tutti over 65 con all’attivo tre mandati consecutivi. Eccezion fatta solo per Alessandro Pansa, ad di Finmeccanica, 55 anni (promosso alla guida dell’azienda dopo anni di esperienza al suo interno nel 2013) e Flavio Cattaneo, 50 anni, al comando del colosso dell’energia Terna.
Niente conferme per chi ha superato i 3 mandati, quote rosa e personalità dal curriculum eccellente. “Persone competenti e, in alcuni casi, nuove” aveva assicurato il ministro dell’Economia Padoan. Sulla carta tutti buoni propostiti, che si affiancano al carosello di nomi circolati sui giornali nelle ultime ore e alle indiscrezioni sulle super-liquidazioni dei manager con i contratti in scadenza.
Ad abbandonare la poltrona, questa la certezza, Massimo Sarmi delle Poste, Paolo Scaroni alla guida di Eni, Cattaneo al comando di Terna, Conti ad di Enel e Pansa alla direzione di Finmeccanica. Manager di lungo corso, ai quali lo stato (questa la seconda cosa certa) dovrà corrispondere cospicue buonuscite. 25 milioni di euro, il totale stimato da L’espresso. Liquidazioni, in molti casi, la cui entità è calcolata sommando lo stipendio da amministratore delegato (carica a scadenza triennale) con quello di dirigente a tempo indeterminato, contratti “rescindibili – scrive Rizzo – ma con grandi garanzie economiche” per i dirigenti in uscita.
Compensi d’oro, a cui i successori sulle poltrone delle partecipate statali dovranno rinunciare. Il governo, infatti, ha proposto ai consigli d’amministrazione di fissare un tetto di 400mila euro per i prossimi supermanager per evitare, ad esempio, di dover liquidare il prossimo ad di Enel con 6,4 milioni di euro (questa la cifra che spetterà a Conti se il governo non dovesse ricollocarlo in altra azienda con lo stesso ruolo) o quello di Eni con 8,3 milioni (questa la super-buonuscita di Scaroni). Cifre che non lasciano indifferenti, su cui la scure della spending review fatica ad abbattersi. Contratti per i quali non valgono le norme stabilite dal Def in materia di retribuzioni dei dirigenti della pubblica amministrazione. Una rivoluzione dei nomi a cui, si spera, possa affiancarsi anche quella di contatti e retribuzioni dei nuovi super manager statali.