Può una personalità politica essere un idolo alla pari di un cantante, di un giocatore di hockey? Il Public Opinion Foundation (FOM) ha risposto di sì. Secondo i dati raccolti nel luglio scorso dall’ente statale di sondaggi, il Presidente Vladimir Putin è visto come la più alta autorità morale dai russi. Sentendosi domandare “una celebrità può essere considerata un’autorità morale?”, solo un terzo dei 1500 adulti russi provenienti da 43 regioni diverse ha risposto negativamente. Degli altri due terzi, il 36 per cento ha detto di vedere in Putin un faro luminoso di moralità.
Al di là dello specifico sondaggio, opinabile come qualsiasi statistica, si può comunque rilevare come Putin sia stato e sia tuttora il maggior interprete delle nuove tendenze politico-culturali che stanno attraversando la Federazione Russa. “Se negli anni Novanta l’opinione pubblica era irrilevante per una leadership distaccata e autoreferenziale, la novità dell’ultimo decennio è che oggi essa è diventata centrale per la tenuta del sistema di governo – ha scritto recentemente su Limes Igor Pellicciari, docente all’Università del Salento – uno degli elementi nuovi del sistema politico russo è il progressivo aumento di importanza dato al consenso di una popolazione dominata al suo interno dall’emergente classe media”.
Un ceto medio che coincide quasi interamente con l’apparato burocratico e che è soddisfatto da anni di politiche redistributive del reddito è la migliore arma per il mantenimento dello status quo. Tuttavia la partita del consenso si gioca anche sul piano valoriale, morale. Putin sa bene che alimentare e soprattutto difendere l’orgoglio russo è ciò che ci si aspetta da lui, ciò che gli si chiede politicamente.
“Gran parte delle scelte del Cremlino in politica estera sono state influenzate, se non dettate, nell’ultimo decennio da considerazioni sulla loro ricaduta in politica interna – prosegue Pellicciari– la facile presa della Crimea è stata un’azione ideata sia per compensare lo shock per la perdita di controllo sull’Ucraina, sia per non perdere il sostegno dell’opinione pubblica, oramai molto sensibile sul tema. La forte ondata di popolarità verso il Cremlino registrata durante la campagna di febbraio 2014 probabilmente sarebbe presto diventata di protesta, se Putin avesse dato l’impressione di non sostenere i fratelli russi d’oltre confine a Donetsk e dintorni e di lasciarli al loro destino”.
Inoltre, secondo un sondaggio del Russian Public Opinion Research Center (Wciom), circa il 93% dei russi non si preoccupa minimamente delle sanzioni economiche varate dall’Occidente. La leadership russa d’altronde “pur non sottovalutandole, le tratta con un distacco rassegnato” dice sempre Pellicciari; l’atteggiamento russo è imperiale ma di vecchio stampo, perché si accettano le conseguenze, gli alti costi, delle azioni volte a preservare il proprio dominio su tradizionali aree d’influenza, rispetto agli Usa “che non rinunciano a esercitare un potere su Stati terzi, per poi infine presentare il conto”.
Insomma le sanzioni economiche non faranno che rafforzare Putin: la Russia si compatterà, come ha fatto già diverse volte, intorno a lui. “La Russia si è sempre trovata a suo agio nei periodi di isolamento che si sono protratti fino a quando il sistema economico non è giunto al collasso”: la Russia vuole rimanere tale, quando Putin dice di volerla difendere dall’occintossicazione tocca le corde più profonde dell’anima di un paese che non accetterà mai di entrare dalla porta di servizio del mondo occidentale.
Mosca si sente Europa e nello stesso tempo prova un complesso di inferiorità nei confronti di essa, da una parte cerca la legittimazione e l’approvazione occidentale dall’altra risponde chiudendosi di fronte a delle critiche giudicate “paternalistiche, ingenerose, ipocrite”.
“Questa sensazione di incomprensione a sua volta ha fatto scattare la tendenza all’over-reacting, inteso come attitudine a reagire in maniera spropositata nel momento in cui si ha la percezione di trovarsi sotto attacco – conclude Pellicciari– quando minaccia contromisure estreme verso l’Ue, come la chiusura del suo spazio aereo o peggio ancora la riduzione drastica di forniture nel campo energetico, Mosca non solo non bleffa ma è perfettamente consapevole dell’alto costo che questa scelta comporterà, in primis per se stessa. […] Noncurante di questo, fatalista e determinata, essa sta preparando un altro rogo di Stalingrado pur di non darla vinta ai vecchi cugini europei”.