Durante la testimonianza è “esclusa la presenza del pubblico. L’imputato e le altre parti private sono rappresentati dai rispettivi difensori”. Questo dice l’art.502 del codice di procedura penale cui si è attenuta, quest’oggi, la Corte d’Assise di Palermo che ha emanato l’ordinanza per sentire come teste il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nell’ambito del processo sulla Trattativa Stato-Mafia. La procura di Palermo aveva già chiesto di ascoltare le ragioni di Napolitano. Richiesta convalidata già un anno fa, il 17 ottobre 2013. I pm di Palermo, dunque, saliranno al Colle in una seduta “a porte chiuse”, cioè senza pubblico e altri indagati. Ora la Procura del capoluogo siciliano e il Quirinale si metteranno in contatto per decidere la prima data utile.
Storia di un testimone. Dopo la richiesta di citazione come teste di un anno fa, era scoppiato il putiferio. Tanto che, lo stesso Napolitano era intervenuto con una missiva inviata al Presidente della Corte d’Assise, Alfredo Montalto. Il Capo dello Stato sarà chiamato a testimoniare su due punti focali dell’inchiesta: dovrà rispondere della lettera inviatagli il 18 giugno 2012 dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio e di una missiva giunta dal Colle al Pg della Cassazione Esposito per cercare di “avocare” l’indagine, come richiesto espressamente da Nicola Mancino. La frase di D’Ambrosio posta all’attenzione dei pm era la seguente: “ho il timore di essere considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili da fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993”.“Per quel che riguarda il passaggio della lettera al Cons. D’Ambrosio cui fa riferimento la richiesta di mia testimonianza ammessa dalla Corte- scrive Napolitano a Montalto- non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo”. Poi, concludeva con la speranza che la Corte avesse valutato “il reale contributo che le mie dichiarazioni potrebbero effettivamente recare all’accertamento processuale in corso”. Traduzione: non so alcunché sulla Trattativa, quindi non vi scomodate a venire. Logica schiacciante. In un paese civile si sarebbero buttati in terra dalle risate. Da noi, no. Ci fu una levata di scudi dei paladini del Colle più alto: il guardasigilli Cancellieri definì “inusuale” la richiesta della Procura di Palermo, i grandi giornali strillarono contro Di Matteo & co. e, sia Avvocatura dello Stato che i legali di Dell’Utri, avevano chiesto di cancellare la richiesta di testimonianza.
Napolitano sarà sentito. La testimonianza è stata ammessa perché rimane “l’interesse” dei pm per lo svolgimento del processo e perché essa non è “né superflua né irrilevante” anche se potrebbe servire solo “per acquisire una dichiarazione negativa di conoscenza dei fatti”. Già il procuratore aggiunto Vittorio Teresi aveva avvertito in aula: “La lettera del Presidente non può essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste. La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire così come da capitolato di prova.” Oggi, all’uscita dell’aula bunker dell’Ucciardone, il pm di punta del processo Trattativa, Nino di Matteo, ha infine aggiunto: “prendiamo atto della decisione” e “avevamo già illustrato i motivi per i quali ritenevamo pertinente e rilevante la testimonianza del Capo dello Stato”.
Il teste De Mita. Stamane, intanto, nuova udienza a Palermo. I pm hanno sentito l’ex Presidente del Consiglio e attuale sindaco di Nusco, Ciriaco De Mita, sulla formazione del governo Amato. E, in particolare, sulla sostituzione di Vincenzo Scotti, dall’Interno agli Esteri. “Mai è venuta fuori l’opportunità- ha negato De Mita- della conferma dell’onorevole Scotti all’Interno. Non sono mai stato interessato all’onorevole Scotti né mi ha spiegato il problema e l’urgenza per cui lui dovesse restare lì”. Poi Di Matteo chiede: “Ricorda quando avvenne la strage di via d’Amelio?” Risposta: “Mi pare un anno dopo quella di Falcone”. Come diceva Flaiano, “la situazione è grave ma non seria”.
Giacomo Salvini