La direzione Pd ha approvato il documento finale sulla delega lavoro. Hanno votato a favore la maggioranza e i giovani turchi, si è astenuta una parte di Area riformista, ha votato contro una parte di Area riformista. I sì sono stati 130, i no 20, 11 astensioni. Spaccata la minoranza, Renzi vince con ampio margine.
RENZI – “Vi propongo di votare con chiarezza al termine del dibattito un documento – esordisce il segretario Renzi aprendo la riunione del partito – che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”. Renzi chiede dunque una posizione certa su “una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”.
“Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora – continua Renzi – La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta”. “Siamo l’unico partito -prosegue- che discute al proprio interno con una certa animosità, ma questo non può fare venire meno il reciproco rispetto. Chi non la pensa come la segreteria non la pensa come i Flintstones. Chi la pensa come la segreteria non è emulo di Margaret Thatcher”. E aggiunge: “Le mediazioni vanno bene, il compromesso va bene, ma non si fanno a tutti i costi i compromessi. Non siamo un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all’esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta”.
BERSANI – Duro intervento dell’ex segretario. “Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perchè se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Ai neofiti della ditta dico che non funziona così. Io voglio poter discutere prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si carichi della responsabilità di far traballare un partito o il governo”. L’ex segretario poi chiarisce: “Secondo me in questa delega lavoro c’è un deficit di capacità riformatrice. Noi abbiamo fatto riforme hard, non mi si venga a dire che non abbiamo fatto niente. Non ci trema il polso, ma con questa riforma perdiamo un’occasione”. Per Bersani non si può “raccontare che non ci sono occupati per colpa dell’articolo 18. Dobbiamo ricostruire una base produttiva”.
D’ALEMA – “Ho sentito una serie di affermazioni senza fondamento. Il fascino dell’oratoria qualche volta non si attiene alla realtà”, afferma. “Non è vero che l’articolo 18 è un tabù da 44 anni, visto che è stato cambiato due anni fa (dice alludendo alla riforma del 2012,) e di fatto non esiste quasi più. Esiste una tutela residuale, bisognerebbe monitorare gli effetti della norma e poi intervenire su quella norma” ha dichiarato l’ex premier.
Sulla carta i numeri sono favorevoli al segretario, che controlla il 68% dei circa 200 membri della direzione. Oggi inviterà il Pd a valutare la riforma nel complesso, farà la sua proposta che verrà messa ai voti. La minoranza non ha la forza numerica per ribaltare il risultato, ma in caso di sconfitta potrà cercare la rivincita al Senato, dove la maggioranza ha sette voti di vantaggio. Ci sarebbe bisogno quindi di un’intesa con le destre, che secondo Vannino Chiti porterebbe ad “una lacerazione grave per il Pd, il governo, il Paese”.
I leader della minoranza, in vista di un’eventuale frattura, lanciano gli ultimi appelli all’unità. Bersani ha dichiarato: “Prendere o lasciare sull’articolo 18? Non esiste. Il Pd va preservato e anche il governo, ma bisogna fare ogni sforzo per trovare la miglior sintesi”. Sicuramente, promette l’ex segretario, “non ci saranno spallate.Alla fine la lealtà alla ditta c’è sempre”. Gianni Cuperlo spera in una soluzione condivisa: “Io ho posto questioni con spirito collaborativo per rendere efficace la riforma e fino all’ultimo continuerò a sperare che, da parte del segretario, ci sia l’impegno a trovare una soluzione condivisa”. Più duro Stefano Fassina: “Se il premier oggi alla direzione del Pd persisterà nell’indicare sul tema del lavoro come unica via la cancellazione dell’articolo 18 non saremo con lui. Io – dice – voterò contro”.
Sulla linea più morbida Matteo Orfini, presidente del PD e figura di spicco dei ‘giovani turchi’, che vede ancora margini per un’intesa, sul rafforzamento dei casi di reintegro: “Ci sono le condizioni per un accordo, però servono robuste correzioni“. Intanto però la mediazione di Chiamparino è stata respinta dalla sinistra del partito, D’Attorre avverte: “Se si andrà alla rottura, sarà chiaro come il sole che l’ha voluta Renzi” e continua: “se la linea è l’abolizione totale dell’articolo 18, mi pare complicato non dire di no”. Un no condiviso da Bindi, Boccia, Fassina e Pippo Civati, che vede all’orizzonte la possibilità della scissione.