L’Ucraina della rabbia non solo iconoclasta
Kharkiv, situata nell’Ucraina centro-orientale, è la seconda città più popolosa del paese. È in maggioranza russofona ma, a differenza di Donetsk e Luhansk, è scampata alla terribile guerra civile che continua (neanche tanto velatamente) nonostante il cessate-il-fuoco del 5 settembre tra governo di Kiev e separatisti filorussi.
Domenica notte il centro della città è stato preso d’assalto da centinaia di nazionalisti e appartenenti a formazioni di ultra destra: al grido di “Kharkiv è Ucraina”, un’enorme statua di Lenin, è stata prima tirata giù e poi distrutta dalla folla, che poteva contare sul sostegno delle autorità cittadine.
Nella notte, appena si erano palesate le intenzioni della folla radunatasi intorno al monumento, il governatore della Regione di Kharkiv aveva emanato un’ordinanza di “smantellamento”: è evidente che il provvedimento non abbia sortito l’effetto di salvare la faccia ai vertici locali.
Il ministro degli Interni Arsen Avakov su Twitter ha detto di aver mandato sul luogo la polizia in modo che nessuno si facesse del male: “lasciamolo cadere ma senza che questo comunista sanguinario faccia altre vittime” si può leggere sul suo profilo.
In Ucraina dal dicembre scorso sono state abbattute più di cento statue raffiguranti Lenin: questi rappresentano solo una parte dei monumenti che Mosca ha lasciato in giro per i paesi che componevano l’Unione Sovietica, in particolare dopo la vittoria della seconda guerra mondiale.
Nel 1991, al momento della dissoluzione dell’Urss, una delle condizioni poste per il ritiro delle truppe dai paesi che di lì a poco si sarebbero resi indipendenti era l’impegno a preservare proprio quei monumenti. Quelli eretti in onore dei soldati dell’Armata Rossa fanno bella mostra (a dire il vero non sempre visto la dissonanza con lo stile moderno scelto da alcune città) non solo nei paesi dell’ex blocco sovietico.
A Varsavia, nonostante un rapporto tradizionalmente difficile con Mosca, un monumento all’esercito sovietico è stato recentemente ristrutturato. Anche a Berlino e a Vienna ve ne sono. La presenza delle statue di Lenin come dei monumenti all’esercito staliniano, invece, rappresentano un problema nei paesi a suo tempo invasi dall’Urss.
La rabbia verso i simboli dell’antico giogo russo “è comprensibile, meno comprensibile è che questa rabbia si traduca nella persecuzione delle minoranze russe, spesso private dei più elementari diritti civili, come se toccasse a loro scontare i peccati del Comunismo” scrivono sul The Guardian, non esattamente un quotidiano filo-sovietico.