A proposito di elettricità di cui ho sofferto la mancanza in questo ultimo viaggio in Burundi. La Banca Mondiale ha diffuso dati significativi e ha denunciato il fatto che l’Africa è vittima di una sorta di apartheid energetico.
In un rapporto diffuso dal massimo organismo sovranazionale economico si legge che l’Africa consuma tanta elettricità quanta ne consuma il Belgio. Vale a dire che un miliardo di persone si accontentano dell’energia elettrica che viene utilizzata da undici milioni di abitanti del Belgio. E, ancora, che una superficie grande oltre trenta milioni di chilometri quadrati è illuminata dalla stessa lampadina che illumina un territorio di soli trenta mila chilometri quadrati. Immaginatevi una ampia stanza illuminata da una striminzita candela.
Ancora la Banca Mondiale dice che nel mondo un miliardo e duecentomila persone vivono completamente senza elettricità e che un terzo di questi sono raggruppati in venti paesi africani.
Dati, cifre, rapporti spaventosi che scandalizzano ma che rischiano di “scivolare” sulle nostre vite ben illuminate. Anzi fin troppo ben illuminate da non riuscire a comprendere, spesso, cosa possa essere, realmente, la vita senza energia elettrica.
Innanzi tutto bisogna dimenticarsi quegli innumerevoli dispositivi con i quali siamo ormai abituati a vivere e comunicare: telefoni cellulari, computer, televisori e schermi con varie funzioni, ma anche elettrodomestici.
Poi bisogna abituarsi al fatto che la vita di giorno e di notte, senza illuminazione, è completamente diversa. In Europa si può vivere di notte come di giorno, basta schiacciare un interruttore. Senza la luce la vita cambia completamente, alcune cose non si possono proprio fare… Insomma la luce è sanità, istruzione, convivialità, informazione.
In questo ultimo viaggio in Burundi, tornando a Bujumbura da una località nell’estremo nord-est del paese, mi è capitato di fare una scorciatoia, una pista sterrata, proposta da un autista locale, per raggiungere la strada asfaltata con la quale raggiungere la capitale guadagnando un certo numeri di chilometri.
Si trattava di una pista di alcune decine di chilometri, ovviamente, senza illuminazione che attraversava villaggi e insediamenti su colline, le classiche dolci colline di queste regioni completamente al buio. I fari del fuoristrada illuminavano parzialmente la strada mentre sobbalzavamo su cunette e dossi e ogni volta i fasci di luce illuminavano qualcuno: bambini che giocavano e che guardavano stupefatti una rara vettura, giovani che spingevano biciclette cariche all’inverosimile di merci, donne con in equilibrio su capo catini e voluminosi involucri che sgattaiolavano veloci nella vegetazione. E voci che provenivano dalla vegetazione come se la foresta fosse viva, come se pulsasse di un respiro possente composto dalla vita degli alberi e dell’uomo.
Insomma io possessore e padrone dell’elettricità ero cieco, in quel mondo senza luce.
Raffaele Masto