Se la cannabis per decenni era stata associata a giovani epigoni di Bob Marley con i rasta magari in un centro sociale, ormai, complici le tendenze provenienti dagli USA, si fa strada una visione più “borghese” della marjuana, che include i colletti bianchi come consumatori e una dimensione economica, in quanto si fa strada la convinzione che possa essere fonte di reddito per i produttori e soprattutto per le casse pubbliche, e possa convenire a tutti più di quanto possa essere di danno dal punto di vista sociale e sanitario.
Un dato ormai assodato è che il consumo di cannabis non cambia, non declina con la repressione e anzi risulta in aumento, appunto non più confinato solo a strati sociali marginali, i calcoli a livello mondiale e italiano sono molti, ma piuttosto convergenti.
Secondo il CNR in Italia il 3,5 per cento della popolazione giovane ne fa uso, un dato che si impenna fino al 21,7 per cento se si prendono in considerazione i consumatori occasionali. Secondo altre statistiche si supera il 4%, come per l’osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, come si vede dalla seguente sua infografica:
L’Italia non è tra i Paesi europei dove se ne consuma di più, ma è tra quelli in cui come si vedele persone che l’hanno provata almeno una volta è cresciuta maggiormente, fino a superare il 20%.
A livello mondale analoghe classifiche, come quella del World Health Organization vedono in testa gli USA e la Nuova Zelanda nella percentuale di coloro che hanno fatto uso almeno una volta di cannabis:
Sono statistiche che sono salite in alcuni Paesi e scese in altri, ma le leggi restrittive non sono mai riusciti ad eliminare il consumo di cannabis, e sono ben lontane dal farlo.
Proprio negli USA è partita l‘ondata di legalizzazione in alcuni stati, dopo l’esperimento quasi solitario dei Paesi Bassi negli anni ’70, e a differenza dell’approccio statalista dell’Uruguay che ha creato un monopolio statale sulla base di quello delle sigarette, qui ve ne è stato uno più liberale, con liberalizzazioni a fianco di legalizzazioni in varie forme, infatti Maine, Vermont, Montana, Colorado, California, Nevada Washington, Oregon, New Jersey, Rhode Island, Michigan, New Mexico, Alaska e Hawaii consentono l’uso medico della marjuana, compresa la cura dell’insonnia, e di queste in Colorado e Washington è previsto anche lo scopo ricreativo. Per novembre sono previsti referendum per una maggiore liberalizzazione in Stati come California e Alaska ed altri ancora. Di seguito una infografica che spiega la situaizone attuale
In USA uno dei drivers di queste legaizzazioni è stata l’economia: Della Vedova (ex radicale, ora Scelta Civica) ricorda il caso del Colorado, in cui l’eliminazione delle pene per i piccoli reati connessi alla marijuana fa risparmiare alle casse dello stato americano tra i 12 e i 40 milioni di dollari all’anno, mentre il gettito fiscale della legalizzazione nei primi 6 mesi del 2014 è stato superiore ai 30 milioni di dollari. L’Italia è 12 volte più grande del Colorado e lo stesso Della Vedova stima in 7 miliardi il possibile introito totale.
Un report del Medical Marijuana Business Daily prevede che alla fine del 2018 il mercato Usa della cannabis, grazie ai due referendum, arriverà a sfiorare i 6 miliardi di dollari.
Oltre alla stima di Della Vedova vi è quella dei radicali, che vede in 8 i miliardi guadagnabili per lo Stato, infatti come in USA si deve guardare alla somma tra risorse risparmiate nel campo della lotta allo spaccio e della gestione dei detenuti per cannabis e le tasse ricavabili dalla vendita legale di marjuana. Infatti in particolare su 64 mila detenuti totali ben 25 mila pare siano dentro per reati legati alla legge Fini-Govanardi, sconfessata dalla corte costituzionale (per vizi formali in realtà, va detto) e politicamente dallo stesso Fini, e sicuramente almeno 9 mila sono stati arrestati per motivi riconducibili solo alla cannabis.
La tassazione poi potrebbe essere analoga a quella per alcol e sigarette, ovvero del 75% per queste ultime, riconoscendo la natura di sostanza certamente non benefica per l’organismo.
La salute appunto, è questo uno degli argomenti comprensibilmente più diffusi tra chi contrasta le proposte di legalizzazione.
Una delle ricerche più approfondite sugli effetti della cannabis è stata svolta in Nuova Zelanda, come abbiamo visto il secondo Paese in cui il consumo è più diffuso, e ha coinvolto 1000 persone per 25 anni, dall’adolescenza fino alla soglia dei 40 anni, ed è stato pubblicato in USA sul Proceedings of the national Academy of science of United States of America, e giunge alla conclusione che il consumo cronico prolungato e iniziato nell’adolescenza provoca un calo del QI tanto maggiore quanto è maggiore il consumo, e tuttavia viene fatto notare come ciò accada quando l’inizio del consumo è prima dei 18 anni, mentre dopo non vi è una evidenza di questi effetti collaterali, e non vi è evidenza per il consumo occasionale.
Anche l’Imperial College dimostra come la cannabis possa portare a passività, anche se molto dipende da una predisposione genetica.
Il punto è che si dovrebbe fare un confronto con altre sostanze legali, e soprattutto riferirci alle conseguenze letali di queste, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità del 2013, il fumo uccide nel mondo circa sei milioni di persone ogni anno, mentre l’Istituto superiore di Sanità ha stimato che solo in Italia negli ultimi 12 mesi sono morte a causa dell’alcol 30 mila persone, trenta volte il numero dei decessi causati nello stesso periodo da overdose da eroina e oppiacei, mentre la cannabis non è nemmeno citata tra le sostanze letali. Se alcol e tabacco sono legali, pur con le dovute restrizioni, perchè non potrebbe esserlo presto anche la cannabis, adeguatamente tassata per produrre appunto quel gettito di cui le casse pubbliche allo stremo sentono il bisogno ora come non mai?