Il Venezuela è il secondo Paese con più riserve petrolifere e uno dei principali produttori di greggio al mondo: il settore degli idrocarburi costituisce il 90 per cento delle esportazioni e la metà delle entrate fiscali per le casse statali. Nonostante ciò, è sull’orlo del default.
Lo scorso 16 settembre, l’agenzia di rating Standard&Poor’s ha declassato la valutazione del credito Paese sudamericano a CCC+, abbassandolo di un grado dal precedente B- e mantenendo un outlook negativo.
Il taglio è stato spiegato con il continuo deterioramento economico del Paese: infatti, secondo i dati del SACE, il Pil è atteso a una violenta contrazione per il 2014 (-3,5 per cento), l’inflazione aumenta a cifre sorprendenti (oltre il 60 per cento dal 40 del 2013).
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Inoltre, il bolívar venezolano fuerte si svaluta a ritmi vertiginosi: se il cambio ufficiale è poco sopra 6 bolívares fuertes, al mercato nero già fiorente un dollaro è cambiato per quasi 100 bolívares fuertes.
Intanto, i fondi speculativi puntano i titoli di Stato che garantiscono +15,7 per cento di rendimento: per gli hedge fund il Venezuela sarebbe, comunque, in grado di onorare gli impegni, mentre in caso di default le riserve garantirebbero un ritorno minimo degli investimenti.
A ottobre è fissata la scadenza di 4,5 miliardi di dollari di due titoli di Stato: il primo è stato emesso dal Ministero del Popolo dell’Economia, delle Finanze e della Banca Pubblica, per un valore di 1,5 miliardi (da versare entro l’8 ottobre); il secondo è garantito dalla società statale petrolifera Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), per un valore di 3 miliardi (da versare entro il 28 ottobre).
Lo Stato, però, pare abbia già polverizzato gran parte delle proprie riserve valutarie, e secondo molti analisti il rischio di un mancato rimborso è molto più di un’ipotesi. Tuttavia, nel caso in cui il governo venezuelano riuscisse a pagare, molte preoccupazioni saranno messe da parte.
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