Sondaggio Swg: art. 18, un giovane su due non comprende il dibattito, elettori M5S indecisi sul jobs act
Tutti dedicati alla riforma del mercato del lavoro i quesiti politici del sondaggio settimanale Swg pubblicato questo venerdì 3 ottobre 2014 che, oltre a fornire i dati sulle intenzioni di voto, analizza il consenso dell’opinione pubblica attorno alle tematiche di più scottante attualità.
Partiamo da un dato importante: un giovane su due non comprende il dibattito in corso sull’articolo 18. Infatti, è il 49% di coloro che hanno meno di 24 anni a non averlo capito. Ciò è assai significativo, perché espone inevitabilmente questa fascia di elettorato a dar credito ad una posizione piuttosto che ad un altra solamente sul carisma o la simpatia di coloro che gettano le proprie opinioni nell’arena politica, senza aver modo di formarsene una propria. Inoltre rende arduo il tentativo di instaurare il dialogo tra le generazioni su una tematica così delicata, tanto più che è proprio attorno ai giovani e alle loro prospettive lavorative che parrebbe ruotare tutta la discussione che si sta consumando negli ultimi tempi: tra le tante cose, l’introduzione di un contratto standard “a tutele crescenti“, che dovrebbe scardinare la distinzione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori con il “posto fisso”, andrà a beneficio dell’occupazione – specie giovanile – e dei lavoratori stessi?
Proprio su questo punto, se il mercato del lavoro avrà più vantaggi o più svantaggi dalla riforma proposta dal Governo Renzi, possiamo notare le reazioni di tre segmenti importanti dell’elettorato nei quesiti posti tra il 22 e il 23 settembre.
La maggioranza di chi voterebbe il Partito Democratico è propensa ad avallarla, con il 53% che ritiene che porterà più vantaggi, il 10% vede più svantaggi e il 26% né vantaggi, né svantaggi; senza opinione l’11%.
Anche negli elettori di Forza Italia la maggioranza, seppur relativa, del 43% a scorgervi maggiori vantaggi, il 15% prospetta più svantaggi ma il 37% ritiene che aspetti negativi e positivi siano equivalenti; non sa esprimersi il 5%.
Vediamo allora gli elettori del Movimento 5 Stelle: quasi uno su due, il 48%, afferma che il “Jobs act” non porterà né vantaggi né svantaggi e il 14% è senza opinione. Tra coloro che si sbilanciano, invece, prevalgono i pareri contrari, pari al 27%, contro l’11% di chi invece accoglie positivamente la proposta del governo.
Anche il quesito successivo è stato posto tra il 22 e il 23 settembre, nel bel mezzo del dibattito sul video di Matteo Renzi in cui accusava pesantemente i sindacati. Con un maggiore sbilanciamento, si ripropongono le stesse posizioni dell’elettorato: la posizione del governo è condivisa dal 63% degli elettori PD e dal 56% di quelli di Forza Italia, quella del sindacato dal 19% di chi vota PD e dal 14% di chi sceglie Forza Italia.
Analizzando invece le posizioni dell’elettorato a cinque stelle, un “grillino” su due non si schiera né con l’uno né con l’altro, mentre chi prende posizione lo fa in 3 casi su 5 con il sindacato. Comunque da questi dati sembrerebbe emergere un atteggiamento di indecisione, se non proprio attendista o speranzoso, anche da parte di molti elettori del M5S, che non paiono riconoscersi pienamente nella netta presa di (op)posizione dei parlamentari e di Beppe Grillo contro il jobs act, per difendere il diritto al reintegro, garantito appunto dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, al dipendente licenziato senza giusta causa.
Questo sembrerebbe ripercuotersi anche nelle intenzioni di voto – anche se, lo sottolineiamo, sono state sondate la settimana successiva, nei giorni a cavallo tra settembre e ottobre 2014 – che mostrano un calo di due punti per il M5S, il quale atterra al 19,5%. Va ribadito che i quesiti precedenti sulla riforma del mercato del lavoro erano stati posti gli stessi giorni in cui erano state rilevate le intenzioni di voto della scorsa settimana, quando il M5S era al 21,5%.
Tuttavia, al netto, non ne beneficia il PD, fermo al 37,6% dell’elettorato, ma Forza Italia, che cresce di oltre un punto al 17,1%, e gli altri partiti di opposizione al governo.
Perciò nello schieramento di centrodestra avanzano Fratelli d’Italia con il suo 3,7% (+0,7) e Lega Nord all’8,6% (+0,5), che punta ad un consenso a due decimali nei prossimi mesi. In calo di 0,4, invece, il partito governativo NCD di Alfano, che scende al 3,5% dei consensi.
Nell’area di centrosinistra invece sono SEL e Rifondazione Comunista ad espandersi e, crescendo entrambe di quattro decimi, si collocano rispettivamente al 3,1% e all’1,9%. Possiamo ipotizzare che tale incremento sia dovuto alla minoranza interna al PD, ossia quella fetta del Partito Democratico che condivide maggiormente la posizione del sindacato ed è perplessa sul governo. Il PD, di conseguenza, avrebbe subito un flusso di consensi in uscita verso i partiti di sinistra, compensato però da un flusso di pari entità proveniente da NCD, da Scelta Civica – che cala dello 0,2 al 0,7% delle intenzioni di voto – e da qualche elettore del M5S, sebbene altre indagini mostrino una notevole impermeabilità tra le due forze politiche principali, che piuttosto di passare dall’una all’altra si orienterebbero verso l’astensione. Però in questo caso calano anche gli indecisi al 44,6% (-1,7).