Jobs act, Gutgeld, consigliere economico di Renzi: “Non è esclusa la fiducia”

Su questa riforma il premier e il governo tutto, “si giocano la faccia”. E la visita di Matteo Renzi di ieri alla City di Londra, ne è l’ennesima dimostrazione. Solo portando a casa la riforma del lavoro rompendo con i sindacati (come Tony Blair) e con “gufi”, “professoroni”, “professionisti della tartina” e “conservatori”, l’ex sindaco di Firenze potrà tornare a rialzare la testa in Europa. E già ieri con quel “non siamo scolaretti” rivolto ad Angela Merkel, abbiamo avuto un primo assaggio. Intanto il dibattito (o meglio la disputa) sul jobs act va avanti. Mercoledì prossimo dovrebbe arrivare in Senato ed è lì (come dimostra la riforma costituzionale) che si gioca la partita vera per il premier perché, si sa, a Palazzo Madama i numeri sono risicati. E se venissero a mancare voti dalla minoranza dem, potrebbero essere guai grossi per Renzi.

yoram gutgeld deputato partito democratico

I consiglieri economici. Dopo il duro scontro di lunedì scorso, Renzi e i suoi consiglieri economici hanno messo su le barricate: nessuna modifica, si va avanti. A costo di “mettere la fiducia”. Proprio questa mossa è molto criticata sia dai sindacati (pronti a scioperare) che dalla minoranza democratica. “La fiducia sulla riforma è nel novero delle possibilità, non è esclusa”, dice Yoram Gutgeld, uno dei fedelissimi renziani dopo una riunione a Palazzo Chigi. Ma la minoranza risponde in un attimo: “Mettere la fiducia sul Jobs act sarebbe la soluzione peggiore sotto ogni punto di vista” minacciano Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti e Cecilia Guerra. Scissione, sfiducia o fedeli alla ditta? Si vedrà. Intanto a Firenze, al festival delle Generazioni, l’altro consigliere economico di Renzi, Filippo Tadddei (un tempo civatiano), cerca di placare gli animi: “La legge delega è molto chiara: si riferisce ai nuovi assunti” e sull’articolo 18 prevede un aggiornamento ma non di cancellarlo “perchè coinvolge molte cose che vengono mantenute”.

Il ministro Poletti. Ma il vero protagonista del jobs act, oltre naturalmente a Renzi, è Giuliano Poletti, ministro del Welfare. Da lui dipendono le sorti di articolo 18, contratti a tutele crescenti e (insieme a Padoan) la spinosa questione del tfr in busta paga ai lavoratori. “Vogliamo fare in modo che la formazione e la relazione tra formazione scolastica lavoro e imprese assumano una nuova centralità” è intervenuto Poletti a Torino in videoconferenza a Torino a margine del decennale della Piazza dei mestieri. “Stiamo costruendo – ha concluso – progetti di alternanza scuola-lavoro e stiamo pensando che nell’operazione di riforma degli ammortizzatori sociali e quindi di costruzione di strumenti di politiche attive, il tema della formazione sia centrale”.

Il diktat è chiaro: non si torna indietro. Sono ammessi tavoli, riunioni, trattative, aperture. Ma poi decide Renzi. A costo di porre la fiducia. E se il jobs act non andasse in porto, dietro l’angolo, ci sono sempre le urne.

 

Giacomo Salvini