Numeri diversi, stessa crisi. Quella delle adesioni: Partito Democratico e Forza Italia lamentano una contrazione notevole del numero di iscritti. Da una parte il partito di maggioranza che può contare ‘solo’ 100.000 iscritti. Dall’altra gli azzurri, fermi a quota 8.300.
Partiamo da Forza Italia: ragione preminente della discesa è la mancanza del leader, Silvio Berlusconi. La presenza non è che non vi sia mai, è ad intermittenza. Tutta ‘colpa’ della sentenza di qualche mese fa. E se manca il deus ex machina a patirne è tutto il partito (funziona così anche al Milan, è noto). I tesserati sono il più palese stato di imbarazzo nell’organizzazione; esternamente è evidente attraverso il calo elettorale, verticale dal 2008 (38% nel Pdl) ad oggi (16,8% alle europee 2014). E se mancano gli iscritti, conseguentemente, allora decrescerà anche il finanziamento al partito, nonostante le varie quote di adesione (30 euro per il volontario, 100 per il sostenitore e 500 per il benemerito azzurro).
Forza Italia è fortemente indebitata. La soluzione: farsi pagare il credito di 22 milioni che tiene nei confronti del Pdl. Ed ecco la convocazione nei confronti dell’ex tesoriere del Popolo della Libertà, Maurizio Bianconi. Che avrebbe detto: “ho tanti altri creditori da soddisfare, posso dare poco meno di un milione, nulla di più”. Berlusconi e Verdini, secondo le ricostruzioni, si sarebbero inferociti. Almeno quanto i dipendenti azzurri (un centinaio di persone, ndr) senza lo stipendio dell’ultimo mese.
Nervi tesi, ancora di più, in casa Partito Democratico: tessere a quota 100.000. In calo di ben 300.000 rispetto al tesseramento 2013.
Per non parlare poi dell’anno della fondazione, il 2007. Senza evidenziare alle milioni di persone che si recano, primaria dopo primaria, a votare il proprio candidato, nazionale o locale che sia. In casa Nazareno si vive con imbarazzo, da parte delle componenti della galassia dalemiana, il modello di partito che Renzi sta cercando di imporre: liquido, c’è chi dice gassoso.
Bersani aveva tentato di costituire un partito solido che sopravviva ai leader: “il partito del secolo”, lo aveva soprannominato. Ma è stato Renzi a farlo volare al 40,8%, mentre l’ex Ministro dello Sviluppo Economico era rimasto ancorato ad un modesto 25%.
Il premier afferma come siano più importanti i voti rispetto agli iscritti: che farci di questi ultimi se si vince nella società alle elezioni?! Ma per la sopravvivenza del partito servono soldi. E pure tanti. E visto che il finanziamento passa maggiormente per le iscrizioni, ecco la nuova trovata della segreteria democratica. La espongono il tesoriere Bonifazi e Alessia Rotta, responsabile comunicazione: cene di finanziamento con imprenditori. Imbarazzo della parte sinistra Pd, e non solo.
Parla Cesare Damiano, piemontese ed ex Ministro del Lavoro: “non mi sento molto stimolato da questa iniziativa. Piuttosto che organizzare le cene con gli industriali, preferirei farle con esodati e cassa integrati”. Basterebbe l’autofinanziamento al partito da parte degli eletti: non sembra che siano tutti in regola, tuttavia. Lo conferma Civati: “io passo per contestatore, ma sono in regola e verso tutti i mesi la mia quota.
Gli altri? Vorrei sapere chi paga. Quanto alle cene, altro che Obama, le fa la destra conservatrice. E poi mi pare un messaggio equivoco: in un momento di crisi ci mettiamo a fare cene da 1.000 euro”. Taglia corto Davide Faraone, pasdaran renziano: le critiche “sono strumentali, fatte dai soliti noti. Le cene di autofinanziamento si sono sempre fatte”.
E vanno fatte maggiormente adesso, data la situazione del partito. Un buco da 17 miliardi, giurano i renziani. Colpa di Bersani e della sua gestione, aggiungono. Insomma, una guerra interna che non sembra vedere fine: che sia il partito o che sia l’articolo 18, finisce sempre e solo in guerra.
Daniele Errera