Il Governo ha deciso. Sul Jobs Act verrà messa la fiducia. E’ quanto si apprende dalla riunione del Consiglio dei ministri da poco terminata. A questo punto il dialogo con i sindacati e la minoranza del Pd si fa tutta in salita.
Martedì 7 Ottobre alle ore 8,00 si terrà l’atteso incontro tra governo e sindacati sul Jobs Act. Alle 9 è fissato l’incontro tra governo e imprese. Alle 10 invece il premier Matteo Renzi vedrà i sindacati della polizia convocati sulla questione dello sblocco stipendiale per il comparto sicurezza e difesa. Non si tratta di un rinnovo contrattuale -fanno notare le sigle sindacali- ma delle indennità collegate alle anzianità di servizio e degli adeguamenti salariali per le promozioni.
La partita sul Jobs Act sarà decisiva in casa Partito Democratico. Lo sarà per gli equilibri al Nazareno come per il paese. Il fine è ovvio: dare una prospettiva futura di speranza ai giovani, coloro che devono entrare nel mondo del lavoro. Ma è proprio nella casa di Renzi, nel Pd, che arrivano le bordate maggiori. L’origine non può che essere la corrente di sinistra, la galassia dalemiana (cuperliani, bersaniani ed altri ancora).
Stefano Fassina su Twitter scrive “Se la delega resta in bianco è invotabile e con la fiducia conseguenze politiche”. E il segretario della Cgil, Susanna Camusso, rintuzza: “Il sindacato è sempre pronto al confronto e altrettanto pronto al conflitto per contrastare politiche non condivise”.
Cesare Damiano, ex Ministro del Lavoro e presidente dell’associazione Lavoro e Welfare, è critico su articolo 18 e Jobs Act renziano: “Noi abbiamo avanzato alcune obiezioni”, afferma Damiano. “Se si vuole un risultato per domani, occorre un compromesso”.
Continua, dalle colonne de La Stampa, il Presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio: “la minoranza – di cui egli è uno degli esponenti – ha presentato sette emendamenti, il governo ne deve tenere conto”. Damiano si pone una serie di interrogativi: “quante saranno le risorse aggiuntive per la riforma degli ammortizzatori sociali? Un miliardo e mezzo è poco. Che significa nel dettaglio ‘semplificazione delle forme di lavoro precario’?”. Poi arriva all’articolo 18: “nell’ultima direzione Pd abbiamo fatto un passo avanti che mantiene l’attuale tutela dell’articolo 18 anche nei licenziamenti disciplinari: vorremmo che questo punto fosse ribadito nella delega. A mio avviso – continua Damiano – una ulteriore riforma dell’articolo 18 non produrrà un solo occupato in più. Il problema semmai è quello di far scendere ulteriormente il cuneo fiscale”. Conclude, infine, sperando che non venga chiesta la fiducia, al solo fine di velocizzare i tempi.
Ma a spezzare una lancia nei confronti di Renzi e del Jobs Act governativo è Debora Serracchiani, prevedendo il disco verde anche da parte della sinistra del Pd: “con l’80 per cento dei voti, alla fine bisogna votare in base alla volontà della stragrande maggioranza del Pd”. Continua la Presidente della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia: “io credo che un pezzo della minoranza, i giovani turchi e la sinistra dem che già in direzione in parte si erano astenuti, alla fine voteranno sì, rispetteranno così il voto della direzione del partito. Sono molto fiduciosa perciò, mettendo pure nel conto il voto contrario di Fassina, piuttosto che di Damiamo o Civati”. Ma avverte: se il Pd dovesse andare sotto in aula, “sarebbe un fallimento, e non solo per noi ma per il paese intero”, del resto “la direzione del partito ha raggiunto un punto di equilibrio. Che adesso va rispettato”.
Ma ad aggiungere un ulteriore carico è Maurizio Landini, segretario della Fiom (sindacato dei metalmeccanici Cgil), negli ultimi tempi interlocutore privilegiato di Renzi in persona: “il governo deve sapere che noi siamo pronti ad occupare le fabbriche se dovesse passare la linea della riduzione dell’occupazione, dei diritti e del salario dei lavoratori. Una linea che potrebbe trovare una prima applicazione alla Thyssen di Terni. Per noi sarebbe inaccettabile”. Continua il sindacalista emiliano: “non possiamo accettare il licenziamento di 250 lavoratori e la riduzione del salario. È questo che ci stanno proponendo ed è questo che il governo ci sta chiedendo di accettare”. Conclude l’intervista a La Repubblica sostenendo come ci sia “bisogno di far ripartire gli investimenti e spetta al governo indicare le politiche industriali per i settori. Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’articolo 18 che andrebbe semplicemente tolto dal tavolo”.
Daniele Errera