Renzi, dopo la travagliata approvazione del Jobs Act in Senato, esprime soddisfazione : “Stanotte in Senato è andata molto bene. Mi sembra che stia crescendo il sostegno, anche in Senato. Il margine è molto forte: 165 a 111. Sono molto contento del risultato numerico”. Secondo il premier “ieri i senatori hanno fatto un grandissimo passo avanti”. Arriva poi anche la critica al comportamento di parte delle opposizioni: “Gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni senatori, sono immagini tristi per i cittadini che si domandano che senso abbia” dice riferendosi ai lanci di regolamento contro il presidente del Senato Grasso. “Noi – conclude – andiamo avanti”.
Ad agitare le acque c’è anche la grana Walter Tocci, il senatore civatiano che annunciato le dimissioni. “Farò di tutto perché Walter Tocci continui a fare il senatore. Tocci ha espresso le proprie posizioni, ma fa parte del Pd, ha scelto una linea politica ma poi ha fatto quello che il partito ha detto. La sua intelligenza, la sua passione e competenza sono necessarie in un partito che ha il 41%. Nonostante il fatto che abbiamo idee diverse, farò di tutto per convincerlo a restare senatore. Le sue dimissioni sarebbero un errore” ha dichiarato Renzi. Sul caso è intervenuto anche Stefano Fassina che non esclude altri ‘casi Tocci’: “Dipenderà molto dalla disponibilità del presidente del Consiglio ad ascoltare posizioni che non sono isolate né personali, ma condivise da pezzi significativi del nostro mondo e degli interessi economici e sociali che rappresentiamo e vogliamo continuare a rappresentare”. E più tardi afferma che “in assenza di modifiche significative” sul Jobs Act “io ritengo che la manifestazione della Cgil del 25 ottobre sia utile e quindi andrò in piazza.”
Molto bene ieri sul #jobsact. Adesso decisi e determinati su semplificazione fisco #passodopopasso #italiariparte
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 9 Ottobre 2014
Ciononostante, il provvedimento approvato ha dato origine, com’era peraltro facilmente preventivabile, a reazioni e opinioni discordanti. Ecco una serie di commenti di chi è a favore e chi contro.
I FAVOREVOLI – L’Europa e gli ambienti governativi apprezzano il voto di fiducia di ieri.
“Avete un potenziale di crescita che aspetta solo di potersi esprimere. Il primo ministro fa bene ad accelerare sulla riforma del mercato del lavoro: potrebbe finalmente incoraggiare lo sviluppo delle imprese e dell’ occupazione”. Così Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce, in un’intervista a Repubblica in cui plaude inoltre all’ operato di Mario Draghi. “Il rischio deflazione non si confermerà a medio termine. La Bce è stata estremamente attiva e le ultime decisioni del consiglio dei Governatori sotto la presidenza di Mario Draghi sono state eccellenti” dice Trichet. Tuttavia “la Bce non può fare tutto. Inoltre, non può sostituirsi ai governi. Sono gli esecutivi nazionali che devono portare avanti le riforme strutturali senza perdere tempo”.
Anche il ministro degli Interni Alfano esprime apprezzamento: “Col Jobs act “l’Italia fa un passo avanti verso un mercato del lavoro più moderno che ha come obiettivo quello di affrontare la grande sfida della disoccupazione.Queste regole non hanno nulla di ideologico, ma solo la grande forza di semplificare per aiutare chi può assumere”. D’accordo il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani: “Il risultato della fiducia sul Jobs act è estremamente positivo: la maggioranza esce rafforzata senza alcun soccorso”. Lo dice il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani al termine della riunione con Renzi al Nazareno. “Si tratta di un passaggio fondamentale per il Paese ma anche politicamente molto significativo – aggiunge Lorenzo Guerini – Dal Senato giunge il messaggio di accelerare il cammino delle riforme”.
I CONTRARI – La minoranza Pd, i sindacati e le opposizioni tutte: Forza Italia, M5S, Sel.
Partiamo dalla minoranza interna: a parlare per primi sono Corradino Mineo e Pippo Civati. “Io sono uscito dall’aula, non ho votato la fiducia – dichiara Mineo -. Quando mi hanno candidato, non c’era certo nel programma l’idea di dividere i sindacati o di dare ragione a Sacconi nella sua crociata contro l’articolo 18. Ma il dato è quello che è: Renzi ha vinto, ha costretto a capitolare i suoi oppositori. Questo gruppo che era di 14 ‘oppositori’ si è diviso, con alcuni che poi hanno votato la fiducia. La cosa più significativa forse l’ha fatta Tocci, che si è dimesso”. “Secondo me – continua Mineo parlando della fiducia in Senato del Jobs Act – adesso la minoranza Pd è molto più debole. Io il maxi-emendamento l’ho letto, e non prende neanche tutte le promesse fatte nella direzione del Pd. La nostra battaglia per il momento si è conclusa con una sconfitta”.
Amaro il commento di Pippo Civati, sempre più lontano da Renzi, che per la prima volta parla apertamente di scissione. Renzi ha battuto ogni record, è arrivato al 75%: quando ha delle difficoltà blocca il dibattito con la fiducia. Non si tratta di pensare che ci siano strategie scissionistiche da parte di qualcuno, semplicemente le persone alla fine si disamorano. Ieri, in Senato, molti dei sì erano dei no. Questa riforma è di destra, non di sinistra e infatti Sacconi esulta. Ma andando avanti così le persone si disamorano. Io la fiducia sul Jobs Act alla Camera – ha proseguito – non la voto. Se vogliono possono pure farmi un processo, ma non è una questione di disciplina di partito, ma di merito e di possibilità di un dibattito. Voi – ha detto rivolgendosi ai cronisti – amate la parola scissione, ma se non la fa Civati, poi la fa qualcun’altro. Quattro anni di governi di larghe intese stanno snaturando il Pd”. Più cauto Pier Luigi Bersani che però chiede che non venga posta la fiducia anche alla Camera: “Voglio proprio sperare che ci sarà lo spazio e il tempo” per le modifiche sul jobs act a Montecitorio, afferma l’ex segretario del Pd
Critiche arrivano anche Cgil e Uil. Nel Jobs Act “a parte qualche titolo, di cui vedremo lo svolgimento, mancano cose fondamentali. Manca l’idea della cancellazione delle forme di precariato e, al contrario, c’è un’idea di riduzione delle tutele dello Statuto dei lavoratori. Soprattutto, si vuol far passare un messaggio secondo cui il lavoro deve essere meno forte, mentre le leggi in materia servirebbero per dare ai lavoratori la forza di essere interlocutori paritari” dichiara Susanna Camusso, leader della Cgil.
Sulla stessa linea la Uil: “Le ripercussioni sulla disoccupazione della riforma degli ammortizzatori sociali, contenuta nel Jobs act, sarebbero davvero preoccupanti. Con il superamento di mobilità, cassa integrazione straordinaria e in deroga, il tasso di disoccupazione passerebbe dall’attuale 12,2% al 13,7%”.
Infine le opposizioni, Movimento 5 Stelle e Forza Italia. Luigi Di Maio è molto duro: “Non è una riforma del mercato del lavoro, è semplicemente un intervento normativo che piace a Draghi e alla Merkel”. “Infatti nessuno si sta chiedendo in Italia perchè questa abolizione o indebolimento dell’art. 18 piaccia al governatore della Bce e alla Merkel”. Per Di Maio, il M5S per il lavoro sta facendo molto di più del Governo. “Noi restituiamo metà del nostro stipendio su un fondo- ha spiegato- Da questo mese partono le linee di micro credito per ragazzi che vogliono entrare nel mondo del lavoro, dieci milioni di euro di soldi del nostro stipendio. Facciamo più noi per il lavoro che Renzi che ha deciso di punto in bianco di eliminare l’articolo 18”.
Categorico Renato Brunetta, che twitta come “ieri al Senato grande passo in avantì. Sì…verso il baratro. O verso la troika”.