Israele: i nuovi insediamenti minacciano le relazioni con USA e UE
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
In occasione del discorso in sede ONU, il Primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu ha risposto alle accuse di genocidio, definendo il proprio esercito come il “più morale al mondo”.
La recente decisione di occupare il territorio di Gerusalemme Est per la costruzione di circa 2610 abitazioni potrebbe compromettere le relazioni internazionali di Israele. Infatti, rischia di allontanarsi non solo dagli alleati statunitensi ma anche dall’Unione Europea, entrambi d’accordo sulla creazione di due Stati come soluzione del conflitto che dal 1948 sta logorando il Vicino Oriente.
Il nuovo piano abitativo, varato dal governo Netanyahu, prevede lo sviluppo di un complesso abitativo a Givat HaMatos, un quartiere a prevalenza arabo, collocato oltre i confini della Linea Verde del 1967. Tale decisione giunge proprio al momento della richiesta del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che fissi a novembre 2016 il termine dell’occupazione israeliana oltre i confini stabiliti nel 1967.
Le reazioni della comunità internazionale di fronte al progetto abitativo di Netanyahu non si sono fatte attendere. Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo il colloquio formale con il Primo ministro israeliano, non ha nascosto la sua forte irritazione e preoccupazione che tale piano possa mettere in pericolo la negoziazione fra le due parti in conflitto.
Photo by Creap – CC BY 2.0
Il Portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha dichiarato che qualora Israele procedesse con questi nuovi insediamenti, la conseguenza diretta sarebbe un allontanamento dai suoi “alleati più stretti”.
Come rilevato anche dal movimento pacifista non-governativo israeliano Peace Now, si tratterebbe di un duro colpo alla ‘soluzione dei due Stati’ poiché tale piano dividerebbe la continuità territoriale tra i quartieri palestinesi situati a Sud di Gerusalemme (Beit Safafa e Shuafat) e il futuro Stato palestinese.
Di fronte alle accuse statunitensi, Netanyahu ha sostenuto che esse andrebbero contro gli stessi valori degli Stati Uniti e il diritto dei residenti di abitare in qualunque parte della città, e ha sostenuto la sovranità nazionale di Israele sul territorio e il diritto di esercitarla costruendo nuove case a Gerusalemme. In realtà, Gerusalemme Est fu occupata da Israele durante la guerra del 1967 e l’intera città fu annessa allo Stato israeliano nel 1980 (una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale).
Oltre l’allontanamento dagli Stati Uniti si aggiungerebbe un maggiore isolamento internazionale dovuto alle critiche provenienti dall’Unione Europea, d’accordo per una soluzione a due Stati. L’organizzazione, che rappresenta il maggiore fornitore di aiuti alla popolazione palestinese, ha utilizzato dei toni molti duri riecheggiando le critiche già esternate singolarmente da Francia e Germania.
Si tratterebbe di un altro atto che va a danno del processo di pace e che ostacola l’andamento delle relazioni fra Unione Europea e Israele. Sebbene la diplomazia europea non abbia chiarito quali azioni potrebbe adottare nel caso in cui l’occupazione continuasse, è importante rilevare che la posta in gioco per Israele è molto alta.
Il raffreddamento delle relazioni con l’Unione Europea potrebbe non solo compromettere i 14 miliardi di fondi europei ai quali Israele è stato dichiarato eleggibile, ma anche infliggere un duro colpo alla bilancia dei pagamenti: l’Unione Europea è, infatti, il principale partner commerciale dello Stato ebraico.
Il nuovo avanzamento di Israele al di là dei confini stabiliti nel 1967 potrebbe, inoltre, alimentare un senso di delegittimazione dello Stato ebraico, già emerso in molti Paesi europei dal momento della ripresa delle ostilità contro i palestinesi.
Claudia Conticello
(Mediterranean Affairs – Editorial board)
Immagine in evidenza: photo by Daniel Bornman – CC BY 2.0