Jobs Act, Poletti “Via precariato, necessarie regole certe”
Il Jobs Act è tra i provvedimenti più rappresentativi e forti dal punto di vista simbolico del governo Renzi. E col premier Renzi ad intestarsi sinora questa battaglia è stato, anche forte del suo ruolo, il ministro del lavoro Giuliano Poletti.
Sul lavoro “bisogna correre ma non per smania mia o del governo a fare in fretta. È la condizione del nostro Paese che ci impone di fare al meglio, il più velocemente possibile”. A parlare è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti che, intervistato dalla Stampa, sottolinea: “Il nostro obiettivo è approvare la legge entro novembre, poi a inizio 2015 vareremo i decreti delegati”.
L’esponente del governo indica gli obiettivi della riforma: semplificazione, norme chiare “perché altrimenti le imprese non investono”, e riduzione della precarietà, con l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescente. “Puntiamo a togliere dal campo – spiega – i contratti più permeabili agli abusi, quelli più precarizzanti e quelli che hanno meno tutele. Puntiamo molto sul nuovo contratto a tutele crescenti” che “potrà sostituire in meglio quelli cancellati”.
“Tutta la discussione – continua il ministro – si è focalizzata sulla questione dell’articolo 18 ma a me preme molto far capire che l’operazione che stiamo facendo partire è rilevantissima e che per avere successo richiede che cambi la cultura del Paese“. E cita come esempio il caso degli ammortizzatori: “Passeremo da un sistema di politiche passive del lavoro, in cui lo Stato paga le persone per restare a casa, a un sistema di politiche attive, dove lo Stato e le sue strutture ti prendono in carico per offrirti nuove opportunità di impiego”.
Poletti conferma quindi lo stanziamento di un fondo da 1,5 miliardi per gli ammortizzatori “però teniamo conto – avverte – che proprio in questo momento stiamo chiudendo un rifinanziamento della cassa in deroga per altri 700 milioni di euro”. Infine un commento sul risultato del voto sul Jobs Act al Senato? “Buono. La discussione ha consentito a chi aveva elementi di dissenso, ad esempio sull’articolo 18, di valutare che magari per un cosa che non gli stava bene ce ne erano altre sei che apprezzava”.
JOBS ACT, FURLAN (Cisl) “POTREBBE RISOLVERE MOLTI PROBLEMI” – Il Jobs Act? “Penso che contenga cose straordinarie, come le politiche attive sul lavoro e il contratto a tutele crescenti, purché faccia sparire le mille forme di contratto precario”. A dirlo al QN è il nuovo segretario generale Cisl Annamaria Furlan, nella sua prima intervista da leader del sindacato. “Una riforma così concepita potrebbe risolvere molti problemi dei lavoratori, ma il voto lo darò solo quando saranno noti i decreti attuativi”, afferma. E al giornalista che le chiede se non gridi allo scandalo sull’articolo 18 dice: su questo tema, “la politica è sempre entrata nell’arena perdendo così di vista il merito delle cose. Mi ha fatto però piacere vedere che, grazie al confronto con le parti sociali, il presidente del Consiglio abbia cambiato approccio sui licenziamenti disciplinari”. Furlan riflette anche sul rapporto tra sindacati: “L’unità è un bene prezioso ma solo se fondata su una reale condivisione. Molte volte, in passato, per centrare l’obiettivo dell’unità sindacale si sono approvati documenti troppo larghi”.
Quindi “non bisogna mai perdere di vista la concretezza dei problemi: se Cgil, Cisl e Uil sono uniti perché condividono realmente le stesse posizioni, bene; ma se dev’essere una finta, meglio evitare”. E alla domanda se la Cgil abbia un approccio troppo politico risponde: “In Italia esistono tre grandi sindacati confederali perché esistono tre storie e tre approcci diversi. La Cisl non ha un approccio politico, ma semplicemente sindacale”. Critica infine l’annuncio della Fiom di voler occupare le fabbriche: “L’interesse dei lavoratori non è quello di occupare le fabbriche, ma di essere occupati in fabbriche che funzionano”.
JOBS ACT, BATTISTA (EX M5S) “GIUSTO IL MIO SÌ ALLA FIDUCIA” -Il mio sì al voto sul Jobs Act? “È una posizione politica. Quando sei in maggioranza voti la fiducia, quando sei all’opposizione il no a prescindere”. Lo dice Lorenzo Battista, ex M5S e ora senatore del Gruppo per le Autonomie, intervistato dalla Stampa. Sulla sua collocazione politica, battista chiarisce: “È il secondo passaggio, ero già passato nel gruppo misto. Ma per me è importante far parte di un gruppo omogeneo, non mi trovavo bene nel misto a direzione Sel. E comunque, la fiducia non è un patto di sangue: come la si può dare la si può togliere”. Non si sottrae poi agli appunti sul fatto di essere stato eletto con i Cinque Stelle e di stare ora in maggioranza e dare la fiducia al premier Renzi: “Certo che mi mette in difficoltà, ma io sono entrato nel Movimento con degli ideali, e poi il M5S s’è rivelato altro. La democrazia dal basso dov’è? Il M5S non è quello che diceva di essere”.